Tutto su mio padre di Sylvia Kant

Trama Sandro e Maura sono sposati da circa dieci anni, ma non possono certo definirsi due santi. Tradimenti, differenze sociali e incomprensioni di una storia nata già sbagliata mettono in crisi il loro matrimonio. Solo l’affetto per la figlia Eva è forte e profondo. Ma persino questo sentimento, l’unico per cui riuscire a trovare il modo di non fare della separazione un sanguinoso campo di battaglia diventa, invece, la miccia, il pretesto, il luogo dell’odio che totalizza e tutto spazza via. Una vicenda familiare feroce e appassionante, una guerra in nome dell’amore dove il verbo amare viene coniugato solo all’imperfetto del tempo sprecato e del futuro perduto.

Tutto su mio padre

Recensione di Veronica – Tutto su mio padre di Sylvia Kant, uscito ad agosto ed edito Newton Compton.
Ho scelto di leggere il nuovo romanzo di Sylvia Kant per due motivi principali. In primis il netto cambio di genere dell’autrice, apprezzo molto quando qualcuno si mette in gioco in questo modo, allargando i propri orizzonti e spingendosi al massimo oltre i propri confini. In secondo luogo, la trama, nella quale ho notato somiglianze con una situazione accaduta ad un mio conoscente.
Ho terminato la lettura di questo libro da qualche giorno, e sinceramente ci ho messo più del previsto a concluderlo, non per la stanchezza o l’agenda fitta di impegni ma spesso ho dovuto interrompere la lettura per il nervosismo che quelle parole mi provocavano
Sandro e Maura sono sposati da circa 10 anni. Un matrimonio che si trascina tra una delusione e l’altra, tra i tradimenti reciproci, che sopravvive ai problemi della stragrande maggioranza delle coppie. Unico punto di vero amore è loro figlia Eva, una bimbetta molto intelligente, curiosa e vispa che ama stare con suo padre, imparare cose nuove. Una meraviglia di bambina che però non è abbastanza per permettere a questo matrimonio di funzionare. Così dopo l’ennesima lite, Sandro è costretto a lasciare la sua casa e da li a poco firmare i documenti della separazione con specifiche sull’affidamento della piccola Eva. Confuso dalla sofferenza provata in quel momento, e nell’intento di proteggere il più possibile sua figlia, Sandro firma un accordo che gli permettere di frequentarla “previo accordo con la madre” , ma si sa, le donne quando ci si mettono diventano delle iene che pur di farla pagare all’uomo che le ha fatte soffrire, usano ogni mezzo, anche i propri figli.
Se una donna decide di usare un figlio per colpirti, non c’è legge che possa proteggerti. Conosco padri che sono andati a prendere i figlioli scortati dalle forze dell’ordine, perché le madri non volevano lasciarglieli durante i fine settimana o le vacanze!
Inizia così il calvario di Sandro. Limitato da Maura negli incontri, che potranno avvenire solo al parco e solo sotto la sua sorveglianza, negato al telefono, appuntamenti rimandati, fino alla decisione di fare ricorso. Un’azione che però si sa, non è certo economica e richiede tempo, fatica, pazienza e intanto il tempo passa, Eva cresce e suo padre non è accanto a lei …
«Ho perso Eva». «Ma no che non l’hai persa! La vedrai anche tutti i giorni, se vorrai. Adesso mi metto a cercare un buon avvocato e tutto andrà per il verso giusto». «No, papà, perché io e lei non vivremo più insieme…Non vivrò più con mia figlia…Non potrò più darle il bacio della buonanotte…Non potrò più aiutarla a lavarsi i denti e a vestirsi…Non potrò insegnarle ad andare in bicicletta…Non potrò fare i compiti con lei, capisci?»

Questo romanzo è un pugno nello stomaco continuo.. stai leggendo e ti dici che è tutto falso, che è tutta un’esagerazione, perché le cose non vanno così. Un padre non può perdere l’amore di sua figlia, una madre non può usare un pezzo del suo cuore per vendicarsi, una figlia non può crescere così fragile e priva di affetto … eppure, Sylvia ci racconta una storia che non è poi così lontana dalla realtà che lo vogliamo oppure no. E certo, avrei voluto che Sandro le tentasse tutte, avrei voluto che Maura venisse smascherata, avrei voluto che giudici, periti e avvocati fossero più empatici e combattivi … e invece a volte non resta che la resa, ma a quale prezzo?
Sono combattuta sulle mie sensazioni circa questo romanzo. Eppure come posso prendermela con l’autrice per aver dipinto la miseria dell’umanità così come realmente esiste?
La figura di Maura, cattiva, parassita, bugiarda, mi ha fatto venire più volte la nausea ma non nego che spesso avrei voluto picchiare anche Sandro, ma come poteva quest’uomo opporsi ai potenti? Se nemmeno la legge è della tua parte, se persino gli avvocati ti suggeriscono di metterci una pietra sopra, dimenticare tua figlia e rifarti una vita, con quale forza poteva far valere i suoi diritti di padre?
No, no, tutto sbagliato in questo romanzo, perché sbagliate sono le leggi, che tutelano a prescindere una madre senza poi fornire assistenza ai figli. Eva, chiusa in se stessa, indecisa se dover ferire la mamma oppure il papà, un bambina capricciosa, desiderosa di attenzioni, di non essere più lo strumento di una guerra tra coloro che più dovrebbero amarla. Eva parla con gli occhi ma senza riuscire veramente a comunicare… ma chi ha chiesto ad Eva cosa avrebbe voluto? Chi le ha chiesto quanto era felice quando suo papà trascorreva del tempo con lei? Chi le ha domandato con quanta ansia misto amore lo aspettava alla finestra quando rientrava a casa? Chi l’ha tutelata dalle fandonie che le propinavano in testa Maura e la sua famiglia? Nessuno. E oggi, al di là di Maura, che ha sposato un altro uomo, al di là di Sandro che si rifarà forse in qualche modo una vita, rimane Eva. Fragile, chiusa, insicura. Senza nessun buon esempio da seguire, senza nessuna fiducia nell’amore, senza alcun tipo di autostima.
Ecco che mi monta nuovamente la rabbia. Il nervoso per quei dialoghi scurrili, con parole al vetriolo, per quell’ignoranza dilagante “cosa studi a fare, devi portare a casa i soldi”, per quella mamma senza cuore, per quel papà che forse avrebbe potuto fare di più, per quei nonni invadenti e seccanti, per gli avvocati che non guardano in faccia a nessuno e per Eva. Soprattutto per Eva che non ha aperto gli occhi verso un padre che rinunciava alla sua vita in cambio di trascorrere del tempo con lei.
«Allora sei proprio ottusa! Vuoi capire che non me la passano al telefono? Vuoi capire che ogni volta che me la negano comincio a pensare di rapirla e ammazzare chiunque osi fermarmi? Lo capisci che tutte le volte che Eva non vuole parlarmi, invece, mi ammazzerei io? Lo capisci che tutta questa storia mi sta facendo diventare un pazzo furioso? Lo capisci o no?»

Il romanzo di Sylvia Kant mi ha lasciato l’amaro in bocca, dall’inizio alla fine, facendomi scontrare nuovamente con la consapevolezza che viviamo in una realtà dove spesso la nostra vita non ci appartiene, dove è più facile ascoltare le chiacchiere e giudicare piuttosto che concedere il beneficio del dubbio, dove il bene non vince sempre, a volte trionfa il male e senza nemmeno troppo sforzo, dove l’odio è accecante e l’amore purtroppo non può nulla.

E alla fine, io rimango con un grande punto di domanda. Mi è piaciuto questo romanzo? Non lo so. L’ho trovato a tratti esagerato, seppur indubbiamente ne ho apprezzato il messaggio importante e chiaro: La sua è una denuncia verso la paternità negata, la legge va cambiata, e al più presto, occorre tutelare i bambini e i padri senza doverli portare a compiere gesti disperati pur di non rinunciare all’amore dei propri figli. Tuttavia, avrei voluto leggere meno dolore gratuito, tuffarmi nella speranza, conoscere i pensieri di Eva, vittima di tutto questo dramma e mai ascoltata.

Se volete leggere questo romanzo, preparatevi ad una lettura non semplice, non piacevole. Cruda, forte e psicologicamente violenta.

4 stelle

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