Sette lettere, un destino di J.P. Monninger
Doveva essere un semplice viaggio alla scoperta delle affascinanti isole Blasket, un tempo cuore dell’Irlanda e della sua letteratura e ora abitate soltanto dal vento e dal silenzio. Un anno sabbatico per completare la tesi di dottorato sulle donne che avevano abitato quei luoghi circondati dal mare, poi Kate sarebbe tornata nel New Hampshire, alla sua vita che era riluttante a lasciare. Ma quando arriva sulle coste irlandesi, i suoi piani vengono inaspettatamente sconvolti: la ragazza è investita dal fascino di quei luoghi magici e selvaggi, di quelle distese color verde brillante battute dai venti, accarezzate dall’aria salmastra e dalla foschia del mattino. E dall’amore per un uomo misterioso: Ozzie Ferriter, un pescatore americano di origini irlandesi, reduce dalla guerra in Afghanistan, che nella solitudine di quella terra cerca rifugio da un passato che lo tormenta. Kate e Ozzie, travolti da una passione incontenibile, iniziano a costruirsi una vita sulla costa rocciosa dell’Irlanda, dove è il mare a scandire il tempo, tra la pesca di sgombri e merluzzi e il calore dei fuochi di torba. Insieme credono di poter cambiare il corso del destino rifugiandosi su un’isola tutta loro, costruita a proteggerli dagli obblighi e dalle pressioni dell’oceano che li circonda, convinti che il loro folle amore possa spazzare via ogni ostacolo. Quando, però, i vecchi demoni di Ozzie e i sogni ambiziosi di Kate busseranno alla porta della yurta in cui vivono, quell’amore e la fiducia reciproca saranno messi a dura prova. E l’isola felice, solitaria e pacifica che si sono costruiti sembrerà d’un tratto a Kate una prigione da cui voler scappare. Ma così come ci sono ferite che resistono alla forza dell’amore, è anche destino che alcune storie debbano fare giri immensi per trovare il proprio lieto fine.
Sette lettere, un destino di J.P. Monninger, contemporary romance pubblicato da Sperling & Kupfer l’8 ottobre.
Mi sento quasi in colpa ad ammettere che avevo preferito il primo libro di questo autore, ma purtroppo è così. Con questo non voglio dire che Sette lettere, un destino non meriti di essere letto, solo che il potenziale era altissimo, ma non è stato sviluppato come avrei desiderato.
Le prime cento pagine sono state perfette, mi sono innamorata dell’Irlanda, delle storie delle isole Blasket, dei vecchietti incontrati sull’autobus e, ovviamente di Ozzie Ferriter. Poi però qualcosa si è guastato e il segreto, tenuto custodito troppo a lungo, non mi ha permesso di amare questo libro come mi sarei aspettata. Inizio e fine da cinque stelle, parte centrale da tre, a tratti un pochino noiosa.
So che sono proprio il principio e l’epilogo a restare impressi nel lettore per cui chissà che forse, un giorno, potrò ripensare a questo romanzo in un modo completamente diverso, con molto più entusiasmo di adesso.
Kate è felice di poter passare un periodo nella terra che ha dato i natali ai suoi nonni, lei porta l’Irlanda nel cuore e nelle sembianze, tutto in lei fa pensare che sia un’irlandese a tutti gli effetti anche se è nata e cresciuta in America. Appena avuto il benestare dell’Università parte e durante il viaggio fa una conoscenza che le cambierà la vita. Su un pullman turistico pieno zeppo di anziani, tutto si sarebbe aspettata tranne fare amicizia con una di loro, che l’avrebbe presa particolarmente a cuore. Gran capisce subito di che pasta è fatta Kate e decide di giocare d’astuzia incastrandola in una gita sulle isole Blasket il giorno seguente.
L’uscita in barca è solo una scusa per far incontrare Kate e Ozzie, suo nipote. Un ex soldato, oggi pescatore, che utilizza tutta la spensieratezza che gli è rimasta dopo la guerra in Afghanistan per andare avanti, seppellendo in fondo al suo cuore le cose orribili che ha visto. Ozzie cerca in tutti i modi di non far tornare a galla il suo passato, ma le ferite sono ancora lì pronte a riaprirsi e a ricominciare a sanguinare. Ozzie sembra un ragazzo inaffidabile e inafferrabile, un donnaiolo che non potrebbe mai aver voglia di impegnarsi in una relazione seria, ma Gran lo conosce bene ed è certa che Kate potrebbe donargli quella stabilità di cui ha bisogno per poter andare avanti.
Kate capisce la mossa di Gran, ma non può nulla di fronte all’attrazione immediata e all’interesse che sente verso questo ragazzone col sorriso sulle labbra e il fuoco negli occhi. Ozzie non si tira indietro e chiede subito a Kate un appuntamento, peccato che all’appuntamento decida di non presentarsi senza nemmeno avvisarla. Kate decide di mollare la presa, in fondo lei è lì per il dottorato e non ha tempo da perdere dietro a un ragazzo così enigmatico e sfuggente. Ozzie però non è della stessa opinione e ce la metterà tutta per mostrare a Kate che sono perfetti insieme e che potrebbero esserlo per il resto della loro vita.
Le carte che Ozzie ha da giocare per conquistare il cuore di Kate sono molte e le metterà tutte sul tavolo, sarà poi lei a decidere se dargli o meno una possibilità. Kate non sarà in grado di resistere a lungo, complice un cucciolo di golden retriever (che vi verrà voglia di mangiare di baci) e proverà cosa significa essere travolti da un uragano di nome Ozzie. Perché Ozzie è evidente che la ama, il loro è stato davvero un colpo di fulmine a tutti gli effetti, ma non è bravo a tenere a bada i suoi demoni interiori e Kate non ha la forza per accettarli.
Ozzie è il personaggio che più mi è piaciuto, non mi sono identificata in lui, ma l’ho compreso, ho sentito il suo dolore represso, ho capito che le cose che lo tormentavano dovevano essere di portata enorme e che avrebbe avuto bisogno di un aiuto per poterne uscire indenne. Ozzie ama Kate con tutta la sua anima, ma non è bravo con le parole, i fatti lo dimostrano, ma a volte non bastano, soprattutto quanto non sei bravo ad aprirti e a mostrare l’orrore che porti dentro.
Kate non è una donna abbastanza forte per stare accanto a un uomo del genere, Gran si sbagliava quando vedeva in lei la compagna perfetta per Ozzie. Kate è fragile e anche un po’ egoista, alla prima difficoltà fugge e non si volta più indietro. Non è facile apprezzare il suo personaggio, arrendersi così, tirarsi indietro di fronte a un grido di aiuto non fa di lei una donna e a farne le spese sarà proprio l’uomo che diceva di amare.
Sette lettere, un destino ha davvero tanto potenziale che però in parte rimane inespresso, l’autore avrebbe potuto calcare molto più la mano su alcune parti e alleggerire su altre. Certo è che è un inno d’amore per l’Irlanda, le descrizioni della natura incontaminata delle isole sono da manuale e ti fanno venire voglia di correre a prenotare un volo per raggiungerle (non escludo di farlo la prossima estate). Monninger si conferma un ottimo autore, anche se le emozioni ogni tanto sono venute a mancare.