Review Party – Non perdiamoci di vista di Federica Bosco
Trama È l’ennesimo 31 dicembre che Benedetta trascorre insieme agli amici storici della compagnia di via Gonzaga, gli stessi che negli anni ottanta passavano i pomeriggi seduti sui motorini a fumare e scambiarsi pettegolezzi, e che adesso sono quarantenni alle prese con divorzi, figli ingestibili e Sindrome di Peter Pan. Ma quello che li accomuna ancora a distanza di trent’anni è la stessa aspettativa di un sabato sera diverso da quello precedente, quello in cui succederà qualcosa di speciale. Quell’attesa tipica della gioventù che non li ha mai abbandonati, e che adesso si traduce in un messaggio sul telefonino che tarda ad arrivare. Un messaggio che potrebbe significare riprendere il filo di un amore che non si è mai spezzato nonostante il tempo, che forse era quello giusto e che ora ritorna a far battere il cuore, a colpi di SMS, playlist e selfie, al posto di lettere struggenti, cassette e foto sbiadite. Una nostalgia del tempo passato così difficile da lasciare andare perché significherebbe rassegnarsi a un mondo complicato, senza punti di riferimento, che niente ha a che vedere con quello scandito dai tramonti e dalle canzoni suonate alla chitarra intorno a un falò. Fino a quando arriva il sabato diverso dagli altri. L’inatteso accade. La vita sorprende. Eppure non sempre nel modo in cui si credeva.
Non perdiamoci di vista di Federica Bosco, romanzo di narrativa, pubblicato oggi 7 ottobre da Garzanti Editore.
Torna in libreria Federica Bosco con una delle sue storie magiche, che sanno parlare al lettore, e, nelle quali quasi sempre riusciamo a rispecchiarci. Con “Non perdiamoci di vista” Federica offre a tutti coloro che sono cresciuti negli anni 80 uno specchio nel quale riflettersi, in un periodo in cui tutto era totalmente diverso da oggi, forse più sano, più genuino, più fresco e sincero. Una generazione, quella degli anni 80, che si scontra con quella di oggi, fatta di social, smartphone, di “tutto e subito”, di maleducazione, bullismo, cattiveria. I giovani di oggi hanno forse smesso di sognare, di credere nell’amore vero, quello speciale, quello che “spero duri per sempre” e poi ti lasciava in una valle di lacrime. Oggi nel mondo del tutto è dovuto, non alziamo più nemmeno lo sguardo da nostro telefonino, e, nel timore di non vedere un like, ci perdiamo attimi, sensazioni ed emozioni che nessuno potrà restituirci.
Betta ha 46, due figli, un matrimonio fallito e la speranza che non sia troppo tardi per il suo “sabato del villaggio”, la felicità tanto agognata. Lei e gli altri ragazzi della compagnia di via Gonzaga si raffrontano oggi con i risultati di una vita in cui qualcosa forse è andato storto. Divorzi, figli ingestibili, delusioni e una grossissima sindrome da Peter Pan che impedisce loro di andare realmente avanti, perché crescere significa accettare le cose come sono e pensare di non poterle più cambiare, perché è troppo difficile o troppo impegnativo
Avevamo fatto tutto quello che i genitori e la società si erano aspettati da noi, seguito i precetti che ci avevano inculcato dalla nascita, il senso dell’onore e della famiglia, del sacrificio e la moralità. Eravamo andati a messa fino alla cresima e più o meno seguito i dieci comandamenti, non eravamo usciti troppo dal seminato, eppure qualcosa era andato storto.
Nessuno di noi poteva dirsi felice e realizzato.”
In un continuo confronto tra il suo essere madre e il suo essere stata figlia, Betta ci accompagna pagina dopo pagina a riscoprire la bellezza della semplicità di un passato che un po’ rimpiangiamo, in confronto ad un presente in cui tutto è davvero un po’ troppo: difficile, pesante, superficiale.
Persino l’amore.
Come era bello amare quando era lei ad avere diciotto anni? Quando non doveva rendere conto a nessuno se le piaceva un ragazzo piuttosto che un altro, quando i sentimenti non si traducevano in istantanei messaggi e l’attesa era anch’essa qualcosa di logorante e piacevole allo stesso tempo, quando non si dava per scontato uno sguardo e ci si credeva fino in fondo, o almeno si sperava. Tutto era amplificato, e lo sentivi, fin sotto pelle: la musica alla radio, le canzoni d’amore canticchiate all’orecchio, una foto rubata, il primo bacio, la prima volta…
Forse quella di Betta è stata una generazione di “sfigati”, – come direbbero i giovani di oggi – che non si ribellava al volere dei genitori, che non si permetteva di uscire troppo dal seminato, ma che almeno credeva. Credeva nell’amore, nell’amicizia, nelle infinite possibilità. E cos’è rimasto oggi di tutto quello sperare? La disillusione e il disincanto. La storia del “per sempre” li ha un po’ fregati, li ha condizionati, condannandoli a desiderare qualcosa che oggi non ha più lo stesso valore. O forse no? È ancora possibile sperare nell’amore, quello vero? Quello che ti toglie l’appetito e ti fa ascoltare in loop la stessa canzone, quell’amore che ti fa formicolare la pelle e fa volare le farfalle nello stomaco? Forse si, ma intanto sono cambiati, sono dovuti crescere in qualche modo, accettando le brutture della vita tanto quanto i successi e semplicemente l’amore ha assunto un altro significato.
Non perdiamoci di vista è un bellissimo diario, che mette a confronto due generazioni totalmente differenti che fanno fatica ad incontrarsi, due generazioni che cercano di comunicare ed inserirsi l’una all’interno dell’altra, cercando di resistere incolumi al tempo.
Betta si racconta senza se e senza ma, cerca di capire cosa può essere salvato dei giorni della sua adolescenza e cosa invece è giusto cestinare per un sentire e vivere più adatto al presente. Ci racconta di quel matrimonio finito senza troppi scossoni, della difficoltà di crescere due figli da sola, in un mondo nuovo che li mette costantemente a dura prova, sotto una pressione che lei non avrebbe mai sopportato, che chiede loro di essere qualcuno di diverso, qualcuno che gli altri possono accettare, far entrare nell’élite. Parla del suo vecchio amore, bello, sofferto, lontano e ora forse ancora possibile, perché la vita è sempre in grado di sorprenderti. Ma come si riporta al presente qualcosa che ha fatto parte di un tempo che mai più tornerà? Come far combaciare nuovamente due persone che non sono più quelle di una volta, due anime segnate in modo differente dalle loro scelte, dalla vita stessa?
Betta parla della difficoltà di trasmettere un determinato tipo di valori, che sembrano ormai dimenticati: rispetto, fiducia, lealtà, onestà, amore. Cerca di sopravvivere ai litigi con la figlia, ai musi lunghi, alle fragilità del figlio, bullizzato dai suoi compagni, e ci mostra gioie e dolori dell’essere genitori oggi, cercando di parlare una lingua a lei sconosciuta.
Il romanzo è continuamente pervaso da un senso di nostalgia, insoddisfazione e allo stesso tempo di speranza, con quel tocco di leggerezza in puro stile Federica Bosco, reso possibile dai dialoghi spesso frizzanti, ironici e genuini. Nostalgia per cosa poi? Per un tempo che è andato, concluso, finito e che mai più tornerà, per un tempo che forse li aveva sbeffeggiati rendendoli oggi fragili ed emotivamente troppo esposti. Un tempo che aveva dato tanto ma che poi si era ripreso tutto con gli interessi. E ora tocca crescere, ora bisogna andare avanti, ma forse la vita ha ancora in serbo qualcosa di speciale per loro.
L’importante, e sarà Andrea, il migliore amico di Betta ad insegnarcelo, è cogliere l’attimo, cambiare le cose che non ci fanno stare bene, mordere la vita, reagire… Perché è proprio quando pensi di avere tutta l’esistenza davanti, che il tempo a disposizione si esaurisce.
Il libro ideale per tutti quelli che sono cresciuti negli anni 80 e vogliono rivivere la loro giovinezza, per tutti coloro che faticano a comunicare con i propri figli e han bisogno di capire di non essere lì soli e per chi ha voglia di una storia vera, senza fronzoli, onesta e profonda.