Quel che affidiamo al vento di Laura Imai Messina
Sul fianco scosceso di Kujira-yama, la Montagna della Balena, si spalanca un immenso giardino chiamato Bell Gardia. In mezzo è installata una cabina, al cui interno riposa un telefono non collegato, che trasporta le voci nel vento. Da tutto il Giappone vi convogliano ogni anno migliaia di persone che hanno perduto qualcuno, che alzano la cornetta per parlare con chi è nell’aldilà.
Quando su quella zona si abbatte un uragano di immane violenza, da lontano accorre una donna, pronta a proteggere il giardino a costo della sua vita. Si chiama Yui, ha trent’anni e una data separa quella che era da quella che è: 11 marzo 2011. Quel giorno lo tsunami spazzò via il paese in cui abitava, inghiottì la madre e la figlia, le sottrasse la gioia di essere al mondo. Venuta per caso a conoscenza di quel luogo surreale, Yui va a visitarlo e a Bell Gardia incontra Takeshi, un medico che vive a Tokyo e ha una bimba di quattro anni, muta dal giorno in cui è morta la madre.
Per rimarginare la vita serve coraggio, fortuna e un luogo comune in cui dipanare il racconto prudente di sé. E ora che quel luogo prezioso rischia di esserle portato via dall’uragano, Yui decide di affrontare il vento, quello che scuote la terra così come quello che solleva le voci di chi non c’è più.
E poi? E poi Yui lo avrebbe presto scoperto. Che è un vero miracolo l’amore. Anche il secondo, anche quello che arriva per sbaglio. Perché quando nessuno si attende il miracolo, il miracolo avviene.
Laura Imai Messina ci conduce in un luogo realmente esistente nel nord-est del Giappone, toccando con delicatezza la tragedia dello tsunami del 2011, e consegnandoci un mondo fragile ma denso di speranza, una storia di resilienza la cui più grande magia risiede nella realtà.
Quel che affidiamo al vento di Laura Imai Messina, romanzo di narrativa pubblicato il 14 gennaio da Piemme.
Ho ricevuto la bozza come regalo di Natale, adoro le sorprese e quando l’ho scartato il mio primo pensiero è stato: la copertina è qualcosa di meraviglioso. Durante le vacanze mi sono imposta di leggere tutti i libri che erano già in mio possesso per non rischiare di accumularli poi e rimandare di troppo le recensioni. Il destino ha voluto che di fila mi capitassero due romanzi ambientati in Giappone e che quindi il paragone tra i due divenisse per me inevitabile. Non affrontano le stesse vicende, uno ha la storyline principale ambientata negli anni Cinquanta mentre Quel che affidiamo al vento è tutto nel presente e si concede al massimo qualche digressione all’11 marzo 2011 e ai suoi giorni successivi.
La cabina del vento esiste davvero ed è in parte protagonista di questa storia, è grazie a lei, alla speranza che porta con sé, che si conoscono Yui e Takeshi. Yui è una speaker radiofonica la cui vita è stata annientata da quello tsunami, in cui ha perso madre e figlia, da allora sopravvive non trovando pace in questo mondo che le ha strappato ciò che di più importante aveva. Un giorno, durante la sua trasmissione radiofonica, viene a conoscenza di questa cabina posta in uno splendido giardino sul fianco scosceso di Kujira-yama e, affascinata dai racconti decide di andare a vederla coi propri occhi. Yui intraprende questo viaggio piuttosto lungo e contempla le persone che trovano conforto nell’alzare la cornetta ed entrare in connessione con chi non è più di questo mondo. Yui non trova il coraggio di farlo, forse perché non ancora pronta ad andare avanti con la propria vita. Nel suo primo viaggio incontra Takeshi, un medico che ha perso la moglie e tra loro nasce una bella amicizia fatta di messaggi, telefonate e viaggi insieme per raggiungere Bell Gardia. Takeshi, a differenza di Yui, non è rimasto solo, oltre alla premurosa madre che lo aiuta nella gestione di molte cose, c’è sua figlia, che ha smesso di parlare dal giorno in cui sua madre non è più tornata a casa. Per Takeshi non è facile aiutarla, vorrebbe che la sua bimba tornasse come un tempo, piena di vita, ma non sa come fare a farle tornare il sorriso. La cabina del vento aiuterà anche lei e le porterà in dono Yui, una donna in cui riuscirà a scorgere la madre che non può più essere al suo fianco per vederla crescere.
I protagonisti sono Yui e Takeshi, ma non saranno solo loro le storie narrate in Quel che affidiamo al vento perché il Giappone è stato devastato da quella tragedia e sono molte le persone sopravvissute che si affidano alla cabina del vento, ma non solo, leggerete anche di persone che hanno perso i loro cari per delle bravate che normalmente non hanno gravi conseguenze. La cabina del vento porta con sé tantissima speranza, mostra a chi arranca un modo per provare ad andare avanti, crea un ponte tra chi parte e chi resta e sono tante le parole che negli anni sono state affidate al vento e hanno portato conforto in chi le pronunciava senza bisogno di ottenere alcuna risposta, perché la forza è sempre da ritrovare dentro noi stessi.
Come vi premettevo all’inizio avendo letto in sequenza due libri ambientati in Giappone mi è stato impossibile non fare alcuni confronti e posso dire che entrambi mi hanno mostrato la misura e la compostezza di un popolo molto distante da noi, il loro modo di reagire al dolore e alla perdita è intimo, ma questo non significa che sia meno intenso. Il carattere schivo e riservato del popolo giapponese emerge maggiormente in Quel che affidiamo al vento in cui l’autrice sembra quasi voler trattenere le emozioni senza lasciarle libere di germogliare dentro il lettore e questo mi ha fatta sentire poco coinvolta. Ammetto di non essere riuscita ad immergermi nella narrazione, non sono riuscita a provare empatia per Yui e Takeshi che sono rimasti per me due estranei di cui mi sono state raccontate le storie più importanti. Ammetto che il limite potrebbe essere unicamente mio e che con molta probabilità questo libro potrà toccare le corde di molti lettori più attenti e sensibili della sottoscritta. Il lavoro che c’è dietro è molto importante, l’autrice non si è improvvisata e ha narrato tutto con grande maestria e delicatezza, comunicando al lettore un importante messaggio di resilienza e forza nella fragilità.