Promesse di Brian Washington

Trama Mike ha origini giapponesi e fa il cuoco in un ristorante fusion a Houston, Texas. Benson è nero, ha una famiglia ingombrante e fa il maestro d’asilo. Mike e Ben vivono insieme da qualche anno, ma non sono più sicuri di amarsi, nonostante l’affetto, il sesso, l’intimità conquistata a fatica. Quando la madre di Mike, Mitsuko, arriva a Houston in visita per la prima volta, Mike decide di partire per il Giappone: suo padre Eiju, che ha abbandonato la famiglia da anni, ha una malattia incurabile. Così, mentre Ben e Mitsuko si trovano costretti a condividere spazi e abitudini, in una strana convivenza che si costruisce in cucina, nella cangiante città di Osaka Mike si confronta con il padre e la sua eredità. Raccontato a turno da Benson e Mike, tra ricette giapponesi e comfort food, “Promesse” è una commedia dolceamara che parla di famiglia, tradimenti e scelte di vita. I personaggi di Bryan Washington sono eroi impacciati, alle prese con una nuova epopea delle relazioni, dove i sentimenti e i desideri non riescono a passare dalle parole ma dai piccoli gesti di ogni giorno, che hanno il potere di trasformare l’insofferenza in tenerezza, il rancore in compassione, e aprire il cuore alla felicità.

Promesse di Brian Washington, libro di narrativa contemporanea pubblicato da NN Editore il 20 maggio appena trascorso.

Promesse di Brian Washington è certamente un libro poco comune, non tanto per gli argomenti trattati -mai in maniera retorica- quanto per lo stile proprio dell’autore. Nonostante i suoi ventisette anni, infatti, Brian Washington mostra una destrezza linguistica che denota equilibrio nelle scelte e un freddo controllo sulla forma del mezzo espressivo.

Credetemi, è davvero difficile parlarne perché questo è uno di quei libri che vanno vissuti, più che raccontati!

In un lungo flusso di coscienza che però scorre velocemente e senza strappi, i personaggi infestano le app di appuntamenti usando la classica cifra stilistica da messaggistica automatica, scattano fotografie inviandosele l’un l’altro, e Washington riproduce tutto sulla pagina come se il lettore stesse davvero guardando una serie di post sul cellulare, in un romanzo che senza fanfara o autocelebrazione si presenta davvero come un’opera del nostro tempo.

Ma la cosa che mi ha davvero disturbata e sorpresa in egual misura è la totale assenza di dialoghi nella narrazione. Un escamotage che ultimamente viene utilizzato spesso ed è stato sdoganato da Bernardine Evaristo, ma che per ora rimane difficile da digerire. O si odia o si ama, sono arrivata a questa conclusione.

Eppure alla fine mi sono ritrovata a rimuginare su tutti gli argomenti trattati, è stato impossibile non giungere a più di una riflessione. Ed è noto che quando un libro non ti lascia andare una volta terminato è sicuramente un buon libro, quindi eccomi qui a consigliarvi questa lettura. Se avete voglia di intraprendere un viaggio diverso e mettervi alla prova, questo romanzo fa decisamente al caso vostro.

Benson e Mike sono due giovani ragazzi che vivono a Houston ed hanno una relazione da qualche anno. Mike è giapponese e in America si è costruito una carriera da chef in un ristorante messicano, mentre l’afroamericano Benson fa l’insegnante.

Ci sono amore e sesso, odio e scontro mentre Mike cucina i pasti per Benson e questo si cura dei sentimenti di entrambi. A modo loro si amano, molto.

Ed ora viene il bello, perché questa storia mostra la relazione da due prospettive molto diverse. Il lettore è chiamato a mettersi nei panni di entrambi i protagonisti cercando di capire esattamente in quale punto sta la verità -e se davvero ne esiste una-. Il problema però è che viene voglia di parteggiare ora per l’uno, ora per l’altro, man mano che la narrazione procede suddivisa tra i loro racconti.

Mentre Mike parte per il Giappone, nello stesso momento la madre da lì arriva in America per stare con il proprio figlio. Lui decide di lasciarla nelle mani del partner mentre all’altro capo del mondo si stabilisce con il padre, un uomo malato di cancro che in precedenza ha abbandonato la moglie e il figlio ma continua a gestire il bar di famiglia come se niente fosse. La situazione sembra tragicomica, ma Mike è risoluto e quando prende una decisione pensa solo a sé stesso, almeno in apparenza.  La relazione interrazziale con Benson è ormai appassita, cosa lo lega alla vita piatta che si è costruito in America, quel posto che lui non ha mai identificato come casa? Certo, all’inizio tutto era un mistero e una sfida, ma ora ha compreso di essere finito in un vicolo cieco.

Benson subisce le scelte di Mike ed il suo approccio egoistico alla vita. In questo frangente deve affrontare una nuova quotidianità con la suocera che non ha mai conosciuto, una donna apparentemente fredda e distaccata, tradizionalista e aggrappata alle sue convinzioni. Lei si rifiuta di aprirsi a Benson ma, mentre entrambi si abituano l’uno all’altro, iniziano a capire di avere qualcosa in comune che crea un legame tra loro. Tuttavia, anche Benson si ritrova a mettere in dubbio la longevità della sua relazione con Mike. Grazie alla lontananza dall’oppressione del partner si sente più libero, quasi come se riuscisse a essere di nuovo sé stesso, riuscendo anche ad instaurare nuove amicizie. L’insinuarsi di nuovi sentimenti e situazioni familiari che modificano i suoi equilibri lo mettono di fronte a scelte ineluttabili: il cambiamento è solo cambiamento, una forma che muta permettendo un’evoluzione personale.

La relazione tra questi due uomini è complicata sin dall’inizio. I litigi e la disarmonia vanno al di là del conflitto interiore: la storia ci fa capire come la loro relazione abbia influenzato anche i singoli membri delle due famiglie e come queste siano entrate in conflitto con loro, sia come individui che come coppia.

Il racconto in prima persona imita la tendenza della vita reale a privilegiare il proprio punto di vista. Ed è proprio così che si sente il lettore fin dall’inizio con Benson, rivolgendo a lui tutta la sua lealtà e simpatia. Ma appena la prospettiva si sposta su Mike, tutte le certezze vengono scardinate, compreso il punto di vista precedente. Ecco perché, al di là del gusto personale sullo stile narrativo, bisogna ammettere la grandezza di questo giovane autore. Raccontando la cruda verità senza nessun fronzolo rivela infatti la nostra incredibile apertura a credere, scusare o entrare in empatia con chiunque sentiamo più vicino a noi in un dato momento.

Washington sa come equilibrare perfettamente personaggi e situazioni senza mai assecondare le loro voci a scapito della trama. Porta avanti la storia intrecciando il passato con il presente, la casa con il lavoro, Houston con Osaka. La razza, la sessualità, il dolore, la sieropositività, il trauma e la classe sociale sono argomenti attuali e Washington li tratta con serietà ma non con riverenza. I personaggi combattono fisicamente ferendosi a vicenda in tanti modi, quasi fosse la normalità. Non ci sono personaggi bianchi in questa storia e tra cliffanger, scene di sesso e preparazioni alimentari complesse, tutto viene sapientemente dosato con grande maestria. Alla fine dei conti ciò che speriamo per i protagonisti è esattamente ciò che aneliamo per noi stessi: felicità e amore con qualcuno che ci protegga guardandoci le spalle e sorreggendoci nei momenti bui.

Sembra tutto molto accurato e fedele alla vita, non si tratta di fare grandi dichiarazioni sull’esperienza di una coppia gay, che vive esattamente le stesse esperienze di tutte le altre coppie gay. Ma credo che il vero successo di “Promesse” sia da ricercare in qualcosa di ancora più semplice e fondamentale, come ad esempio la capacità di empatizzare con il prossimo cambiando prospettiva.  Un’abilità non da tutti che però andrebbe coltivata, specialmente in un momento storico in cui la soggettività si è resa così vulnerabile.

Promesse è in definitiva un libro difficile ma fondamentale che esplora in modo straziante le idee sull’interiorità e sulla famiglia, permettendo ai personaggi di venire a patti con le loro relazioni imperfette, sia romantiche che familiari. È una storia intima e frustrante che finisce ben prima di arrivare all’ultima pagina, lasciando ai personaggi lo spazio per elaborare le cose che non possono dire, ma che sentono ancora fortemente.

L’identità personale si costruisce poco alla volta e prima o poi ognuno di noi si ritrova a fare i conti con l’eredità delle proprie origini familiari. Così come per Mike e Benson, questo retaggio è spesso connotato tanto da affetto quanto da aspetti problematici, con cui tuttavia è importante riconciliarsi, perché rinnegarli significa sacrificare una parte di sé stessi. Ridefinire le relazioni che ci portiamo dentro, scegliere cosa tenere e cosa buttare, è difficile ma indispensabile per andare avanti e vivere il cambiamento. In cosa ci riconosciamo simili e in cosa diversi dai nostri genitori e lasciare che sia questo ad orientare la nostra vita e le nostre scelte è la vera promessa per il futuro.

Perché come diceva Jean-Paul Sartre, “l’importante non è ciò che gli altri fanno di noi, ma quello che noi facciamo di ciò che gli altri hanno fatto di noi”.

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