L’istituto di Stephen King

Trama È notte fonda a Minneapolis, quando un misterioso gruppo di persone si introduce in casa di Luke Ellis, uccide i suoi genitori e lo porta via in un SUV nero. Bastano due minuti, sprofondati nel silenzio irreale di una tranquilla strada di periferia, per sconvolgere la vita di Luke, per sempre. Quando si sveglia, il ragazzo si trova in una camera del tutto simile alla sua, ma senza finestre, nel famigerato Istituto dove sono rinchiusi altri bambini come lui. Dietro porte tutte uguali, lungo corridoi illuminati da luci spettrali, si trovano piccoli geni con poteri speciali – telepatia, telecinesi. Appena arrivati, sono destinati alla Prima Casa, dove Luke trova infatti i compagni Kalisha, Nick, George, Iris e Avery Dixon, che ha solo dieci anni. Poi, qualcuno finisce nella Seconda Casa. «È come il motel di un film dell’orrore», dice Kalisha. «Chi prende una stanza non ne esce più.» Sono le regole della feroce signora Sigsby, direttrice dell’Istituto, convinta di poter estrarre i loro doni: con qualunque mezzo, a qualunque costo. Chi non si adegua subisce punizioni implacabili. E così, uno alla volta, i compagni di Luke spariscono, mentre lui cerca disperatamente una via d’uscita. Solo che nessuno, finora, è mai riuscito a evadere dall’Istituto.

L’istituto di Stephen King, horror thriller pubblicato da Sperling & Kupfer, lo scorso 10 settembre.

Per me leggere Stephen King è un po’ come tornare a casa. E leggere King che racconta di bambini e ragazzini è un po’ come tornare a casa e trovarci tutti gli oggetti a cui sono più affezionata.

Ecco, cominciando L’Istituto questa è la sensazione che ho avuto. Insieme a quella che il Re sia tornato alla grande a raccontare il suo, e il nostro, orrore quotidiano come solo lui sa fare e ha fatto in molti romanzi che ormai sono diventati dei classici.

Ok, è il mio autore preferito e sono un poco di parte (ma solo un briciolo, eh!), però ho comunque la mia personale classifica di gradimento delle sue opere e ammetto tranquillamente che non tutte le sue storie recenti sono all’altezza degli standard a cui ci ha abituato in passato. Ma questa sì, questa è davvero strepitosa. Perché ci sono i bambini (la tipologia di personaggio che a mio parere meglio gli riesce, specie per creare empatia con i suoi Fedeli Lettori), perché c’è l’amicizia e anche l’orrore, ma non inteso in senso sovrannaturale, bensì quello molto più terribile, angosciante e reale causato dagli essere umani. Però non voglio svelare troppo, quindi… partiamo dall’inizio.

E l’inizio è un po’ “spaesante”, perché per una cinquantina di pagine sembra di essere capitati nella storia sbagliata che niente ha a che fare con la sinossi che sicuramente abbiamo letto prima di iniziare il romanzo: non ci sono bambini e non c’è l’Istituto.

Tranquilli, si tratta solo di aspettare pazientemente che il Re ci presenti il personaggio (in realtà, uno dei co-protagonisti, come scopriremo in seguito) di Tim Jamieson, ex-poliziotto in cerca di fortuna, avventura – e quella che sta per vivere proprio non la può immaginare – nel Sud degli Stati Uniti.

“Sulla statale 17, non riuscendo a rimediare un passaggio, proseguì a piedi per due o tre chilometri, fino all’incrocio con la 92, dove un cartello puntava verso la cittadina di DuPray. Cominciava a farsi tardi, e Tim decise che era meglio cercare un motel dove trascorrere la notte. Sarebbe sicuramente stato un’altra topaia, ma le alternative – dormire all’addiaccio facendosi mangiare vivo dai moscerini, o nel fienile di un contadino – erano ancora meno attraenti. Così, si avviò alla volta di DuPray.

Da piccole cose nascono grandi eventi.”

A questo punto, quando ci stiamo già affezionando a Tim ma continuiamo a chiederci che cosa c’entri nella nostra storia, ecco che facciamo un salto geografico non da poco per finire nel Minnesota. E qui compare Luke Ellis, il nostro giovane eroe! Luke ha solo dodici anni però è un ragazzino prodigio, un genio che pur frequentando una scuola per bambini dotati è in procinto di affrontare gli esami di ammissione per iscriversi non ad una università, ma addirittura a due: l’Emerson College di Boston e, udite udite, il MIT a Cambridge.

“«[Luke] ha fame di imparare. Muore di fame, letteralmente. Non so quali meccanismi favolosi si attivino nella sua testa – nessuno di noi può saperlo, e forse chi è andato più vicino alla verità è il vecchio Flint quando ha evocato Gesù che insegnava agli anziani –, ma se tento di visualizzarli penso a un’enorme macchina tirata a lucido, che funziona al due per cento delle sue capacità. Al cinque per cento, massimo. Ma poiché questa macchina è umana, Luke ha… fame, ecco.»”

È super intelligente e ha fame di imparare cose nuove ma è anche simpatico e affezionato ai genitori che, per permettergli di frequentare queste due università, sono persino disposti a traslocare in Massachusetts.

Ma, ahimè, Luke non avrà il tempo di realizzare il suo sogno. I “cattivi” stanno per fare il loro ingresso nella storia… e non sarà un’entrata in sordina.

Arrivati a questo punto della vicenda non posso più raccontarvi nulla che non sia spoiler, vi dico soltanto che farete fatica a staccarvi dal libro per la tensione, presente dall’inizio alla fine, di cui King è bravissimo ad intessere la narrazione.

Entreranno in gioco altri personaggi che diventeranno molto importanti per Luke, come lui lo sarà per loro, e ritroveremo anche Tim.

Ancora una volta King ci farà capire che l’orrore, quello vero, non è causato da mostri, fantasmi e vampiri (che spesso nelle sue storie sono solo il mezzo per veicolare un messaggio) ma viene generato dagli stessi esseri umani che ne diventano le vittime, anche se inizialmente una parte di loro si trova ad impersonare i carnefici.

L’orrore è reale, è quotidiano ed è presente ovunque. Le storie di King potrebbero essere estremizzazioni, ma non necessariamente e non vanno comunque sottovalutate.

Tornando alla narrazione, mentre la prima metà del romanzo è più statica (se si escludono un paio di salti geografici) e imperniata su Tim, ma solo inizialmente, e poi su Luke, la seconda parte è più movimentata e, pur non essendoci capitoli dal POV dei personaggi, King è un ottimo narratore onnisciente che ci descrive i pensieri e le emozioni di molti dei protagonisti, sia tra i buoni che tra i cattivi.

“A scuola lo consideravano un tipo strambo, lo prendevano in giro anche per il suo nome. Lì all’Istituto, invece, non era successo niente del genere, perché erano sempre stati uniti. I suoi amici si erano presi cura di lui, lo avevano trattato come una persona normale, e ora era il suo turno di prendersi cura di loro. Kalisha, Nicky, George e Helen: si sarebbe preso cura di tutti loro.

Ma soprattutto di Luke. Se ci fosse riuscito.”

Ci sono numerosi passaggi e scene nella storia che via via mi hanno ricordato i Perdenti bambini, protagonisti di IT, ma anche il viaggio di Jack ne Il Talismano e le peripezie vissute da Charlie ne L’incendiaria. Ve l’ho detto all’inizio: per me è come tornare a casa.

Se c’è una cosa che, invece, potrei anche omettere è il mio voto. Riuscite a indovinarlo? No, no, avete sbagliato: non è smeraldo… ma una miniera di smeraldi!

P.S. Avete individuato gli Easter eggs che il Re ama disseminare nelle sue storie sfidando il lettore a scoprirli? Io ne ho trovati quattro.

smeraldo

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