La chiave dei ricordi di Kathryn Hughes

Da dove si ricomincia, quando si ha perso tutto? Sarah non ha ancora una risposta. A trentotto anni, dopo un divorzio difficile, è tornata a casa dei genitori, convinta di non avere più un futuro. Per distrarsi dai suoi problemi, decide di scrivere un libro su Ambergate, l’ospedale psichiatrico in cui aveva lavorato il padre, ormai chiuso da anni e che verrà presto demolito. Girovagando tra i corridoi di quell’enorme edificio in rovina, Sarah s’imbatte in una vecchia, polverosa valigia, abbandonata lì chissà quando da una paziente. Dentro c’è un biglietto su cui sono scritte poche righe che, sorprendentemente, la riguardano molto da vicino…

Rintracciare quella paziente diventa allora una missione. Spinta da una forza che credeva di aver perduto, Sarah insegue i labili indizi lasciati da quella donna, ricostruendo la storia di un dolore così grande da essere scambiato per follia, di un amore capace di rischiarare anche le tenebre più buie, di un segreto rimasto sepolto troppo a lungo. Un segreto che potrebbe cambiare anche la vita di Sarah.

Review Party – La chiave dei ricordi di Kathryn Hughes – libro di narrativa contemporanea in uscita oggi, 14 febbraio per Nord Editore. Recensione di Loreads

Ci sono storie che si insinuano sotto pelle e sai già che le porterai con te per sempre. È successo con La chiave dei ricordi: non so ancora perché sia entrato nella mia vita, ma sono consapevole che era destinato a me, dovevo leggerlo per esorcizzare i mostri che mi porto dentro, le mie paure, per liberarmi da quel peso nel cuore che, da troppi anni, mi opprime impedendomi di respirare.

Dicono che piangere sia terapeutico, ed io di lacrime ho riempito le pagine della Hughes. Ho lasciato che questo libro mi travolgesse e ho riflettuto a lungo prima di decidermi a raccontarvelo. Non volevo parlarvene di getto, subito dopo averlo terminato. Volevo che le mie emozioni decantassero, che i miei occhi smettessero di piangere per poter riacquistare lucidità ed esprimere al meglio ciò che ho provato. Lo dovevo all’autrice, a questa penna così piena di talento che ha saputo dare voce a quelle anime spezzate che negli anni 50 hanno soggiornato all’interno di istituti psichiatrici.

La storia si apre ad Ambergate nel 2006. Sarah è una donna di 38 anni che ha perso tutto: un matrimonio fallito alle spalle, il desiderio inesaudito di diventare madre. È tornata a vivere dal padre ormai anziano, piegato dal lutto della scomparsa dell’adorata moglie. Per distrarsi dai suoi problemi, Sarah decide di scrivere un libro su Ambergate, la struttura psichiatrica in cui il padre ha lavorato per anni, ospedale ormai chiuso e prossimo alla demolizione. Ma incontra la resistenza del genitore che di quegli anni non vuole assolutamente parlare, tace sull’argomento chiudendosi nel suo fermo e ostinato silenzio. Ma Sarah non si arrende e continua caparbiamente ad approfondire le sue ricerche sulla struttura, girovagando tra i corridoi di quell’enorme edificio in rovina. Ed è in una di quelle stanze polverose che trova delle valigie abbandonate, vecchie, appartenute probabilmente a pazienti che non sono riusciti a lasciare l’ospedale, morendo tra quelle mura. Il contenuto dei bagagli è materiale preziosissimo per il libro di Sarah. Ogni valigia ha una storia da raccontare, è una vera miniera di informazioni, e in una di essa Sarah trova un biglietto, ingiallito dal tempo, che la turba e che la riguarda molto da vicino.

La narrazione fa un salto indietro di 50 anni. Ci troviamo all’interno dell’ospedale dove Ellen Crosby sta per cominciare il suo nuovo lavoro come allieva infermiera. È il sogno di una vita che si realizza, desidera aiutare i più bisognosi, e farsi assumere ad Ambergate non è stato affatto difficile. Non tutti vogliono prendersi cura di malati infermi mentalmente, di povere anime graffiate dalla vita, di coloro che la società chiama “pazzi”. Il suo entusiasmo si scontra con la freddezza delle caposala che lavorano in ospedale da anni. Per loro i pazienti sono numeri, fatica, sudore, non hanno un’identità, ma rappresentano solo matti da sedare, deridere, cavie per esperimenti barbari. Ma non per Ellen e nemmeno per Dougie, un affascinante allievo infermiere americano che presta servizio nell’ala maschile dell’istituto.

Loro due insieme vogliono ridare a quelle povere anime la dignità di cui sono state spogliate, dialogare con loro, trattandole come persone. A Ellen viene inizialmente affidato il reparto delle lunghe degenze femminili. Ed è tra i corridoi sterili che puzzano di disinfettante che verrà a contatto con il vero dolore, con la miseria umana. Incrocerà i suoi occhi con sguardi vacui, vuoti, smarriti, offuscati dalla confusione, con donne ricoverate da tutta una vita, rinchiuse contro il loro volere. Non c’è speranza per queste donne di uscire da quella prigione. Sono state piegate, conformate, istituzionalizzate, le loro follie, o presunte tali, placate con l’elettroshock o la lobotomia.

Ma è ad Amy che Ellen si sente più vicina; la ragazza ha la sua stessa età, è stata internata dal padre che non vuole sapere più nulla di lei. Ma Amy è davvero pazza o ha tenuto dentro, per troppo tempo, un dolore così grande che non ha saputo esternare? C’è stato un momento in cui la sua vita ha smarrito la strada maestra, ma non è tra le mura di un manicomio che deve ritrovare se stessa. È della medesima idea anche il dottor Lambourne, lo psichiatra di Ambergate che con la sua laurea in medicina pensa di essere al di sopra di Dio, quando prescrive trattamenti alle sue pazienti. Insofferente e pieno di sé, si rende subito conto che Amy non è una paziente come le altre. È costretto a reprimere i suoi veri sentimenti, non vuole barattare la sua ambizione con l’amore. Non può permetterselo, ed è per questo che lascia l’ospedale, senza voltarsi indietro. Ma la povera Amy è ormai irrimediabilmente innamorata, e l’ennesimo abbandono da parte di una persona cara la porta alla follia, quella vera.

“Anche se si entrava ad Ambergate sani di mente, se ne usciva pazzi. Non passava giorno senza che avesse luogo un alterco, una discussione o un dramma, spesso orchestrati dal personale per divertirsi un po’.”

Esce oggi per Nord Editore La chiave dei ricordi di Kathryn Hughes, già conosciuta dal pubblico italiano con La lettera, pubblicato tre anni fa.

The Key, titolo originale dell’opera, è un libro potente, una di quelle letture che tutti dovrebbero avere sul proprio comodino. È necessario non dimenticare quali fossero le reali condizioni di vita all’interno dei manicomi. Mentre leggevo, mi sono più volte augurata che persone come Ellen e Dougie siano realmente esistite in queste strutture. Ho sperato che il loro ottimismo e la loro umanità siano stati di sostegno per quelle persone pazze, o presunte tali. Che abbiano accarezzato, abbracciato ognuna di quelle anime bisognose di una parola di conforto, di un dialogo sano, senza pregiudizi, di gesti che le facessero sentire meno sole e abbandonate, normali, persone e non numeri. All’epoca bastava un pretesto qualsiasi per essere considerati matti, internati e sottoposti a barbari trattamenti: l’epilessia, il mal d’amore, un orientamento sessuale diverso andavano corretti, conformati a ciò che la società richiedeva.

“Pensò ai poveracci costretti a considerare Ambergate casa loro, incarcerati contro la loro volontà perché non si conformavano alle aspettative della società”.

La struttura del romanzo non ha una sola voce narrante, le due linee temporali non ci permettono di scoprire subito le parole scritte nel biglietto ritrovato da Sarah. Possiamo soltanto intuire di cosa si tratta, ma è solo oltre la prima metà della storia che la narrazione sarà più chiara al lettore. Lettore che si ritroverà imprigionato e in preda ad emozioni devastanti. Fatevi un favore, leggete questo libro, e non dimenticate, mai.

smeraldo

la chiave dei ricordi

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