Intervista a Daniel Speck
Buongiorno smeraldi, grazie a Sperling & Kupfer (e soprattutto a Cinzia, che ha creduto in me) ho avuto l’onore e in piacere di intervistare Daniel Speck, autore di Volevamo andare lontano, pubblicato il 30 aprile. Abbiamo fatto una chiacchierata prima dell’incontro tenutosi a Milano il 20 aprile scorso, in occasione della presentazione a un gruppo ristretto di blog, fortuna vuole che io fossi tra questi e che abbia potuto conoscerlo. Daniel è una persona colta, interessante, carismatica e molto disponibile, avrete modo di scoprirlo leggendo questa bella (sì, me lo dico da sola) intervista.
Dal libro sembra abbia una grande opinione del popolo italiano, traspare un forte amore per la nostra terra che sembra quasi prevalere su quello del suo paese d’origine, se potesse cosa ci ruberebbe? Sia in senso fisico che metaforico.
Le donne ahahahah, gli stranieri rubano sempre le donne. A parte le donne, le macchine, ma quelle d’epoca, quelle belle degli anni sessanta e settanta. Le macchine hanno infatti un ruolo cruciale nel libro perché Volevamo andare lontano parla di migrazione, di mobilizzazione, parla di gente che si sposta, parla di viaggi.
Dal suo racconto emerge in maniera importante l’idea che ogni verità abbia bisogno di più punti di vista per avere un quadro completo dei fatti e lo dimostra in diversi passaggi, chi sembrava carnefice all’inizio proseguendo il racconto diventa vittima e viceversa, quando ha cominciato a scrivere Bella Germania aveva già ben chiaro il punto di arrivo o la storia ha subito dei cambiamenti durante la stesura?
No, io ho sempre la fine in mente quando comincio a scrivere una storia. Non parto per un paese sconosciuto, io devo avere ben chiara la mappa e il percorso da seguire. Non saprei come scrivere una storia ben strutturata senza avere chiaro come finisce. Devo sapere cosa accade e in quale momento della narrazione.
L’amore viscerale, la paura e l’onore della famiglia sono sentimenti che muovono le fila del romanzo e riassumono la vita della sfortunata Giulietta, per caratterizzare questo personaggio da chi ha tratto ispirazione?
Non c’è un personaggio, diciamo, reale, non so, Giulietta mi è venuta così. Per me questi personaggi hanno vissuto realmente, avevo la sensazione di non inventarli, ma di descrivere qualcosa che è accaduto. Questa era la mia sensazione mentre scrivevo. È un mistero, come se fossi stato guidato.
Qual è il personaggio che sente a lei più affine? Ha messo qualche sua peculiarità in uno o più di loro?
Tutti, tutti, tutti. Veramente sono dentro ognuno di loro, non ce n’è uno che è più vicino a me, sono tutti parte di me. A Julia ho dato questa sensazione che avevo all’inizio della mia carriera di dare tutto alla carriera e fare tanti sacrifici perché facevo lo sceneggiatore ed è un mestiere difficilissimo. Per realizzare quel sogno ho dovuto rinunciare a tutte le altre cose, dedicandomi 24 ore su 24 a questo mestiere, una passione talmente forte a cui ho deciso di dare tutto. Ma Julia non è l’unica, c’è una parte di Vincenzo dentro di me, una parte di Vincent, una parte di Enzo, ho regalato qualcosa di me a ognuno dei personaggi.
Le leggo una delle frasi che più mi hanno colpito
Il fatto di somigliare a Giulietta mi aveva affascinato. Tuttavia, più conoscevo la storia di Vincenzo, e più trovavo sorprendenti e inquietanti le somiglianze fra quel ragazzo italiano della periferia e la ragazzina che ero stata. Sì, avevo un passaporto tedesco, una madre tedesca e un’identità tedesca, ma nel mio cuore mi sentivo senza patria proprio come lui.
Non trova che la mancanza d’identità possa essere un sentimento comune alla nostra epoca? Quali differenze riscontra tra la sua generazione e quella dei giovani d’oggi?
Assolutamente, per me questo sentimento di mancanza non è solo di Julia, è un sentimento universale. In un certo senso abbiamo perso tutti l’appartenenza a un certo posto e a un certo modo di vivere. Viviamo sradicati in confronto ai nostri nonni e ai nostri genitori, che avevano una vita fissata su una rotta.
I ragazzi di oggi sono più pragmatici rispetto a quelli della mia generazione, quando avevo vent’anni volevo seguire la mia passione, per me non era importante avere uno stipendio fisso, una sicurezza economica, una carriera, volevo fare solo ciò che mi stava a cuore, cioè scrivere. Del resto non mi importava nulla. I ragazzi di oggi fanno delle scelte meno basate sugli ideali e sulle passioni, vogliono raggiungere subito un obiettivo nel mondo del lavoro per essere sicuri, forse perché il mondo sembra essere diventato un luogo meno sicuro. Noi ci sentivamo più liberi, più sicuri ed eravamo sempre alla ricerca, ci davamo più tempo. Io sono andato a Roma per studiare, non era la scelta più facile, la strada più semplice, ma mi piaceva Roma e mi piaceva vivere a Roma, il mio studio consisteva nel guardarmi quattro film al giorno. Bellissimo, fantastico. Io sapevo cosa fare, non sapevo come guadagnare dei soldi, ma vivere questi film mi ha ispirato tantissimo, soprattutto i film italiani. Per me il cinema italiano è stata la fonte di ispirazione più forte.
In Volevamo andare lontano sembra voglia far comprendere al lettore quanto sia importante conoscere la storia della propria famiglia per comprendere meglio non solo gli altri, ma anche se stessi. Quasi un monito, perché è ciò che non conosciamo e comprendiamo a farci paura. Si riferiva a qualcosa in particolare quando scriveva queste parole?
Mi riferivo alla paura dello straniero, perché lo straniero fa paura quando non lo conosciamo. Al tedesco l’italiano faceva paura negli anni sessanta, adesso non più, adesso tutti i tedeschi amano gli italiani. L’italiano è lo straniero più amato dai tedeschi, i tedeschi sono molto italofili. I tedeschi vorrebbero essere italiani. Anche oggi abbiamo la paura dello straniero in rapporto ad altri stranieri che vengono dei paesi arabi, da paesi come l’Afghanistan, ma anche questi sono esseri umani con esperienze, paure e speranze molto simili alle nostre. Bisogna imparare ad ascoltare, a mettersi insieme, mangiare insieme e prestare attenzione alle loro storie perché sono convinto che quando ascolti la storia di qualcuno ti riconosci in lui, anche se all’inizio sembrava lontano da te.
Lo stesso vale con la propria famiglia, all’inizio pensi di non poter avere niente in comune, ad esempio, con tuo nonno, ma poi trovi un punto di incontro, un tema che unisce, che scatena delle vibrazioni all’interno di tutta la famiglia. Nel caso di Volevamo andare lontano un tema è la passione, vivere le proprie passioni, superare gli ostacoli che bloccano il tuo cammino e darsi la possibilità di vivere appieno ciò che si è, per “diventare se stessi”. C’è il tema di Giulietta, che vuole diventare una stilista, ma subentrano la famiglia e il dovere a indirizzare la sua vita. Poi c’è il tema di Vincenzo, tutti dicono che è un genio e a lui pesa quest’aspettativa, la vive come una maledizione. Questi sono alcuni dei temi della famiglia Marconi e credo che ogni lettore rivedrà i temi della propria famiglia in questo romanzo. Ogni famiglia ha un tema visibile al mondo e un tema nascosto, che bisogna scavare a fondo per scoprirlo.
Ci sono possibilità che la serie tv Bella Germania arrivi sui nostri schermi?
Penso proprio che arriverà, dovrebbe esserci un doppiaggio, ma credo che debba prima essere letto il libro per dare la possibilità a ognuno di “farsi il proprio film”. La miniserie sarà composta di tre puntate da 90 minuti ciascuna, in Germania verrà trasmessa in autunno.
Lei nasce sceneggiatore, cosa l’ha spinta a scrivere un romanzo e quando è nata l’idea?
Ci ho messo otto anni dalla prima idea alla sua fine. Ho scritto in parallelo romanzo e sceneggiatura, e sono stato consapevole fin dal primo momento che questo sarebbe stato un gran romanzo e un gran film perché possiede questo arco temporale epico, che abbraccia tre generazioni, un po’ come Il padrino.
Qual è stata la fonte d’ispirazione per scrivere un romanzo in gran parte ambientato in Italia?
L’Italia stessa, l’Italia è il paese in cui mi piace far volare l’immaginazione. l’Italia è un paese che mi ispira tanto e sognarmi una storia ambientata in Italia è sempre più piacevole che sognarne una ambientata a Monaco, città in cui vivo.
Sono stato per periodi molto lunghi a Salina, in un bellissimo posto, l’hotel Signum della mia cara amica Clara Rametta che mi ha aiutato a conoscere ciò che è la Sicilia, di conoscere la mentalità siciliana e tante storie risalenti al ’68. Come la gente si sposava, cosa mangiava ai ricevimenti di nozze, il menu inserito in Volevamo andare lontano è vero, è il vero menù di nozze dei suoi genitori. Clara passava con me intere serate a raccontarmi le storie di quegli anni.
Mentre scrivo viaggio e incontro gente, trovo che sia la cosa migliore perché ti libera la testa e ti permette di conoscere delle persone che ti regalano tantissimo. Prima di scrivere questo libro non conoscevo l’isola di Salina, un posto magico che consiglio a tutti di andare a scoprire.
Ho letto nella sua biografia che ha studiato anche alla Sapienza di Roma, cosa ricorda del suo periodo italiano?
Giovanni Spagnoletti, il mio professore, che è stato davvero forte. Parlava tedesco e quando sono arrivato a Roma per trovare e vedere tutti i film italiani, lui, proprio quell’anno, ha tenuto il suo corso sul cinema tedesco. Una grandissima seccatura per me che ero arrivato per studiare il cinema italiano, quindi in università vedevo i film tedeschi e poi andavo al cinema per vedere i film italiani. Ho studiato a Roma all’inizio degli anni 90 e di quegli anni ricordo l’amore, le donne di Roma. Erano gli anni in cui crollava la vecchia politica e c’era la speranza che si potesse avere un’Italia meno corrotta, un’Italia più pulita.
Spero tanto di essere riuscita, attraverso questa intervista, a farvi conoscere Daniel Speck e a suscitare in voi la voglia di leggere Volevamo andare lontano, se vi fosse venuta la curiosità è online la mia recensione di questo bellissimo romanzo.
Milano, 2014. Julia, giovane e brillante stilista tedesca, sta per affrontare la sfilata che potrebbe finalmente coronare i suoi sogni. Ma, proprio mentre guarda al futuro, il passato torna a cercarla nei panni di uno sconosciuto che sostiene di essere suo nonno. Dice di essere il padre di quel padre che lei ha sempre creduto morto, e le mostra la foto di una ragazza che potrebbe essere Julia stessa, tanto le somiglia, se solo quel ritratto non fosse stato scattato sessant’anni prima.
Milano, 1954. Vincent, promettente ingegnere tedesco, arriva da Monaco con il compito di testare una piccola automobile italiana che potrebbe risollevare le sorti della BMW. È così che conosce Giulietta, incaricata di fargli da interprete, e se ne innamora. Lei è una ragazza piena di vita e di sogni – ama disegnare e cucire vestiti – ma è frenata dalla sua famiglia, emigrata dalla Sicilia, e da una promessa che già la lega a un altro uomo. Si ritroverà a scegliere tra amore e dovere, libertà e tradizione, e quella scelta segnerà il destino di tutte le generazioni a venire. Fino a Julia. Proprio a lei, oggi, viene chiesto da quel perfetto estraneo di ricucire uno strappo doloroso, di ricomporre una famiglia che non ha mai conosciuto. Ma che ha sempre desiderato avere. Se accetta, l’attende un viaggio alla ricerca della verità, un tuffo nel passato alla scoperta delle sue radici. L’attendono bugie e segreti che potrebbero ferirla: il prezzo da pagare per riavere un mondo di affetti che le è sempre mancato. L’attende la scoperta emozionante di un amore incancellabile a cui va resa giustizia e di una donna luminosa che, all’insaputa di Julia, vive da sempre dentro di lei e dentro i suoi sogni.