Il tatuatore di Auschwitz di Heather Morris
Trama Il cielo di un grigio sconosciuto incombe sulla fila di donne. Da quel momento in poi sarà solo una sequenza inanimata di numeri tatuata sul braccio. Ad Auschwitz Lale, ebreo come loro, è l’artefice di quell’orrendo compito. Lavora a testa bassa per non vedere un dolore così simile al suo. Quel giorno però Lale alza lo sguardo un solo istante. Ed è allora che incrocia due occhi che in quel mondo senza colori nascondono un intero arcobaleno. Il suo nome è Gita. Un nome che Lale non può più dimenticare. Perché Gita diventa la sua luce in quel buio infinito. La ragazza racconta poco di sè, come se non essendoci un futuro non avesse senso nemmeno il passato. Eppure sono le emozioni a parlare per loro. Sono i piccoli momenti rubati a quella assurda quotidianità ad avvicinarli. Ma dove sono rinchiusi non c’è posto per l’amore. Dove si combatte per un pezzo di pane e per salvare la propria vita, l’amore è un sogno ormai dimenticato. Non per Lale e Gita che sono pronti a tutto per nascondere e proteggere quello che hanno. E quando il destino vuole separarli nella gola rimangono strozzate quelle parole che hanno solo potuto sussurrare. Parole di un domani insieme che a loro sembra precluso. Dovranno lottare per poterle dire di nuovo. Dovranno crederci davvero per urlarle finalmente in un abbraccio. Senza più morte e dolore intorno. Solo due giovani e la loro voglia di stare insieme. Solo due giovani più forti della malvagità del mondo.
Recensione di Veronica – Care lettrici, un paio di settimane fa ho partecipato al Blog Tour dedicato a Il tatuatore di Auschwitz scritto da Heather Morris ed edito Garzanti. Dovevo scegliere personaggi ed ambientazioni del film ispirati al romanzo. Costruire questa tappa mi ha permesso di addentrarmi totalmente nel libro e rivivere con le immagini e con le parole del protagonista, un periodo agghiacciante della storia dell’umanità. Un periodo che mi fa rendere conto di quanto è difettoso l’uomo, di come in un attimo può rendersi protagonista di azioni sconcertanti e crudeli. Siamo difettosi perché siamo in grado di compiere gesti come un genocidio di massa, esserne consapevoli e non far nulla per impedirlo o opporci. La cosa mi lascia amarezza e sconcerto.
Quella raccontata in questo romanzo è la storia di Lale Sokolov, ebreo, cittadino libero cecoslovacco, costretto a sacrificarsi per salvare la sua famiglia.
Nell’aprile 1942 Lale venne deportato a Birkenau. Il governo cecoslovacco stava cedendo alle richieste dei tedeschi che obbligavano ogni famiglia ebrea a far partire almeno un figlio maggiorenne per lavorare per il governo tedesco. Suo fratello era sposato e aveva dei figli e sua sorella sarebbe stata più utile a casa con il suo lavoro e la possibilità di prendersi cura dei suoi genitori. Non gli restava che proporsi come volontario e partire verso qualcosa di cui nemmeno riusciva ad immaginare l’esistenza. Caricato insieme ad altri ebrei su un carro adibito al trasporto del bestiame, si rende subito conto della situazione critica, che sarà tutta una questione di sopravvivenza, che il completo indossato per l’occasione, i vestiti puliti e i libri in valigia, non gli sarebbero stati utili ma che il grosso sacrificio fatto era servito a tenere al sicuro la sua famiglia. Da quel giorno lui sarebbe stato il prigioniero numero 32407, un numero che lo avrebbe identificato per sempre.
“Ad accomunarli è la paura. E la giovinezza. E la religione. Lale cerca di tenere la mente sgombra da teorie su ciò che potrebbe aspettarli. Gli hanno detto che lo portano a lavorare per i tedeschi, ed è quello che intende fa-re. Pensa alla sua famiglia a casa. “Al sicuro.” Si è sacrificato, non ha rimpianti. Lo rifarebbe ancora e poi ancora, pur di mantenere a casa la sua adorata famiglia, unita.”
Quella che Lale vivrà sarà una battaglia impari, dove vige la legge del più forte e dove purtroppo per sopravvivere non puoi avere incertezze. Ciò che colpisce subito è la straordinaria coesione che si instaura all’interno del blocco. Quelle persone sono tutte lì, accomunate dallo stesso crudele destino e cercano in qualche modo di sostenersi. Questo è quello che ha vissuto Lale sulla sua pelle. Ammalatosi di tifo, sopravvivrà grazie al sacrificio del suo compagno Aron e alle cure dei suoi compagni di blocco e di Pepan, il tatuatore di Auschwitz , che gli propone una via di salvezza. Lavorare per lui, o meglio insieme garantendosi così un’alta percentuale di sopravvivenza. La figura del tatuatore infatti è di fondamentale importanza per il governo tedesco, tanto da renderla un ruolo privilegiato che gli garantisce la protezione della Divisione Politica, e libertà di movimento a cui altri prigionieri non possono ambire.
Lale all’inizio è incerto: una cosa era lavorare per i tedeschi, un’altra era ferire di proposito le persone, fare loro del male sia fisico che morale. Ma che scelta poteva avere? Se non avesse accettato, lo avrebbe fatto qualcun altro, forse meno gentile di lui e con meno scrupoli. Ma perché Pepan aveva scelto proprio lui?
«Pepan, perché hai scelto me?»
«Ho visto un uomo che stava quasi morendo di fame rischiare la vita per salvarti. Ho immaginato che ne valesse la pena.»
E’ proprio mentre sta lavorando come tatuatore che lo sguardo di Lale incontra quello di Gita. Per lui è un colpo di fulmine, la luce in mezzo a quel grigiore, l’amore tra tanta sofferenza.
Sarà proprio il loro amore a tenerli in vita, sarà la speranza per un futuro migliore, insieme, a spingerli a non lasciarsi morire. Ed è in questo momento che il crudo racconto di Lale ci regala la speranza. All’interno di un lager, dove la sofferenza e la brutalità sono all’ordine del giorno, loro si cercano, si desiderano, sperano … entrambi sono il motivo per cui è giusto sopravvivere, la voglia di conoscersi e viversi fuori da quella prigione è il motivo che li spinge ad andare avanti.
Lale e Gita sono due persone opposte e questo è chiaro per tutto il romanzo. Entrambi di animo forte, buono e genuino, ma se da una parte abbiamo un Lale fiducioso nonostante abbia perso la fede, dall’altra abbiamo Gita sconfortata e sfiduciata, che non vede una luce infondo al tunnel nel quale sono intrappolati, per lei presente e futuro coincidono, il domani è un mistero che non sa se potrà scoprire.
Lale si alza e la fissa. «Io mi chiamo Ludwig Eisenberg, ma la gente mi chiama Lale. Vengo da Krompachy, in Slovacchia. Ho una madre, un padre, un fratello e una sorella.» Fa una pausa. «Adesso tocca a te.»
Gita sostiene lo sguardo di lui con aria di sfida. «Io sono la prigioniera 34902 di Birkenau, in Polonia.»
Non starò a raccontarvi la trama per filo e per segno, potete immaginare cosa celano le pagine di Heather Morris, lascio a voi il piacere di conoscere questo personaggio fantastico, che racconta di sé, un uomo come un altro che ha cercato di sopravvivere sconfiggendo così il male
“Vivrò per uscire da questo posto. Me ne andrò da uomo libero. Se c’è un inferno, farò in modo che questi assassini vi brucino”.
Questa è una storia vera, raccontata proprio dalla voce di Lale all’autrice. Posso solo immaginare il dolore nel rivivere quei momenti di cui è stato protagonista, i sensi di colpa che l’hanno dilaniato, le crudeli perdite che ha dovuto subire, ma lo immagino anche sorridente e trasognante mentre racconta di Gita.
Questo è un libro che ho apprezzato senza dubbio, un libro che merita di essere letto per non dimenticare, è un libro che ci insegna ad apprezzare gli attimi a goderci le piccole cose. Mi è piaciuto il messaggio di speranza che traspare in ogni riga, perché se è vero che chi era lì ha visto l’inferno, e noi quando pensiamo a quel periodo storico vediamo solo le tute a righe e i forni crematori, Lale ci insegna che ci può essere anche altro e ci regala un momento di amore assoluto. Personalmente tutta questa storia mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo al pensiero che nonostante tutto c’è ancora spazio per qualcosa di bello e intenso. Certo non sono stati tutti fortunati come lui, ma a volte anche leggere di quel raro raggio di sole in mezzo ad una tempesta aiuta ad alleggerire il peso di quel fardello che grava ancora oggi su di noi.
L’autrice è stata bravissima a riproporre questa storia. Non ha rinunciato agli aspetti più crudi come è giusto che sia e ha fatto trasparire pagina dopo pagina la bellezza di quel sentimento puro che ha tenuto in vita Lale a Gita.
«Se salvi un uomo, salvi il mondo intero»
So che si tratta di una lettura difficile, impegnativa, che richiede l’umore adatto forse, ma se volete condividere un pezzetto di dolore, vi consiglio di leggere questo romanzo che ci insegna tanto e ci aiuta a ricordare quanto siamo fortunati.