Il destino ha ali di carta di Tor Udall
Trama Nulla è scolpito nella pietra, ma la verità è versatile, si può piegare e ripiegare.
Come ogni giorno, la giovane Chloe è seduta in riva al lago, circondata da alberi secolari e fiori dai colori vivaci. Qui, al sicuro nel silenzio dei Kew Gardens, il più grande giardino botanico di Londra, Chloe si dedica all’arte degli origami, con cui cerca di dare voce a quello che non riesce a dire. Perché la carta, un po’ come le parole, può assumere varie forme a seconda della verità che si vuole raccontare. E fare origami è l’unico modo per Chloe di non aver paura e di sentirsi protetta da una colpa segreta che non riesce a perdonarsi. Anche Jonah ha scelto i Kew Gardens per allontanarsi dal caos del tempo che scorre e rimettere insieme la propria esistenza. Chloe e Jonah sembrano non avere nulla in comune, se non l’essere anime solitarie e alla deriva. Eppure, l’anziano Harry Barclay, il custode dei giardini che li osserva da lontano, sa che non è così. Sono anni che la sua vita scorre secondo un antico rituale: assistere al mutare delle stagioni, preservare le piante più deboli, rispondere alle domande strambe della piccola Milly, la bambina appassionata di fiori rari che gli fa sempre compagnia. Ma soprattutto sono anni che Harry aspetta. Aspetta che la promessa che il giardino custodisce da tempo possa finalmente realizzarsi. Ha capito che Chloe e Jonah sono quelli giusti. Per svelare un segreto lontano. Per raccontare di un amore che supera i confini del tempo. Solo allora saranno liberi. Dalle colpe, dal passato e da tutto ciò che ha impedito loro di ricostruirsi una vita. Solo allora potranno dare nuova forma alle loro ali fragili e volare alla conquista del proprio posto nel mondo.
Recensione di Dannyella – Il destino ha ali di carta di Tor Udall pubblicato da Garzanti il 13 settembre.
Chi mi conosce sa che quando termino un libro, la recensione vien fuori nel giro dei dieci minuti successivi. Questo perché mi piace scrivere la mia opinione sull’onda dell’emozioni del momento, riesco a essere più convincente, più spontanea e i pensieri si mettono in ordine da soli. Del resto, per me non avrebbe senso fare altrimenti perché leggo per provare emozioni, ed è con quelle stesse sensazioni che la lettura ha provocato in me ancora addosso che cerco di dire la mia. Per questo libro, purtroppo, non è stato così. Quando l’ho terminato, e non vedevo l’ora di terminarlo, mi è rimasto sulla fronte un bel grosso punto interrogativo e mi sono presa del tempo prima di mettere qualcosa per iscritto.
Si tratta di un fenomeno editoriale: il libro che abbiamo tra le mani è stato il più conteso alla fiera di Francoforte e, di fatto, la versione italiana e quella tedesca sono uscite quasi in contemporanea questo settembre, di poco precedute dalla versione francese, per me quella dalla cover più riuscita. Definito commovente e pieno di speranza dall’Observer, per il The Sunday Express si tratta di un romanzo poetico.
Davanti a una tale pubblicità e una tale risonanza è ancora più difficile dire la propria, da semplice lettrice, soprattutto se si tratta di una voce fuori dal coro, ma la mia è la semplice opinione di una donna che ha passato gli ultimi quattro giorni tra le pagine di questo libro, non trovandosi mai completamente a proprio agio. Leggere per me è un gesto di estrema generosità ed è un omaggio alla penna dello scrittore. In quel momento io rinuncio, in un certo senso, alla mia vita: metto da parte i miei impegni quotidiani, le persone che mi circondano per dedicarmi alla storia che l’autore ha scritto, per essere trasportata nella vita, nella mente di qualcun altro e l’unica cosa che voglio in cambio è che ne valga la pena. Questa volta non credo che sia stato così, non ho chiuso il libro soddisfatta di averlo letto.
Ci sono tanti modi di portare avanti una storia e tanti modi di presentare i propri protagonisti, ci sono gli autori che ci presentano tutti i protagonisti all’inizio del romanzo, per esempio. Lo fanno come se ci mettessero davanti le loro carte d’identità, così sappiamo perfettamente chi abbiamo davanti, e poi continuiamo a leggere le loro storie. Ci sono altri autori, invece, che scoprono i loro protagonisti piano piano, come se fosse un gioco di magia: il loro trucco sta nel non farci vedere subito tutte le carte. È un modo di scrivere intrigante, che di solito ti porta a divorare il libro che hai davanti perché vuoi sapere cosa sta succedendo, chi è il protagonista e cosa gli succede. E poi c’è la scrittura di Tor Udall, l’autrice di questo libro che non posso fare a meno che definire confusa e se questo si intende per poeticità allora devo ammettere il mio limite di non aver saputo cogliere il lato poetico di questo romanzo. Non è facile da spiegare, ma ho dovuto attendere sino al settanta per cento del romanzo che quegli schizzi, quegli eventi gettati così alla rinfusa, mi venissero finalmente chiariti, ma il problema non è stata l’attesa, il problema principale è che questa attesa non è stata accompagnata dalla suspense, dalla voglia di arrivare a capire quello di cui stavo leggendo che è fondamentale per un tipo di scrittura del genere. Insomma, per dirla in maniera brutale: durante questa lettura mi sono annoiata e non posso farci niente. Credo che questo modo di scrivere sia stato motivato da una trama davvero molto esigua e, infatti, nel romanzo accade veramente poco. Mi piacerebbe molto leggere altre opinioni, anche diverse, al riguardo, per arrivare magari a capire qual è stato il mio limite durante questa lettura. Ma probabilmente, come spesso dico, non era semplicemente il libro giusto al momento giusto.
La protagonista più riuscita, forse, è Chloe, l’unica che è riuscita a smuovermi un po’ d’interesse, anche perché forse è l’unica un po’ più delineata e le pagine più interessanti sono indubbiamente quelle riguardanti il diario di Audrey, che avrei volentieri approfondito, perché era davvero interessante intrufolarsi nel subconscio di una donna con un passato come il suo e con la sua psicologia così delicata, peccato, però, che queste diario occupi un ruolo troppo marginale del libro. Poi, per quanto riguarda il resto, l’argomento trattato, l’essenza degli altri protagonisti: può essere un tema che può o meno piacere, può o meno interessare o convincere, ma non posso dirne di più in una recensione che non vuole in nessun modo fare dello spoiler.
Nulla da ridire, invece, sulla traduzione di Roberta Scarabelli. Devo dire la verità: durante la lettura del romanzo, soprattutto nei momenti più intricati, avevo creduto che la traduttrice non fosse stata in grado di rendere al meglio alcuni passaggi dando luogo a un po’ di confusione. Poi, dal momento che non sono solita dare giudizi senza una documentazione al riguardo, sono andata a leggere l’originale e mi sono resa conta che la scrittura di Tor Udall è proprio confusa (qualcuno la definirà poetica, ma tant’è…). Difficilmente, per esempio dimenticherò il passaggio che mi ha fatta fermare nella lettura, tornare indietro e rileggerlo per tre volte di seguito con le sopracciglia aggrottate: Ma di solito è lei quella sollecita, poi non chiama per giorni. Cerca di riconciliare gli estremi di lui, però solo i saggi sanno ballare guancia a guancia con il paradosso; e Chloe sa di non essere una santa. Qui pensavo davvero che ci fosse una fallimentare scelta traduttiva alla base della difficile scorrevolezza della frase e del suo dubbio significato, ma poi sono andata a leggere l’originale: But normally she is the one who is attentive, then doesn’t call for days. She tries to reconcile his extremes, but only sages can dance cheek to cheek with paradox; and Chloe knows she is not saint. Ecco, una cosa è la poeticità, ma essa non deve scontrarsi con la leggibilità e la scorrevolezza del libro, per quanto mi riguarda.
Un libro con una trama così esigua, infine, a mio parere, non dovrebbe superare le 200 pagine, mentre qui arriviamo alle 320. Pagine in cui alla fine non succede nulla, la trama è incentrata tutta su un evento e su l’identità di alcuni protagonisti ed entrambe ci vengono rivelate solo alla fine, dopo un’attesa davvero troppo lunga.
Quindi, no, è un libro che non consiglierei e che non rileggerei, ma spero vivamente che qualcuno, più abituato di me a cogliere un tale livello di poeticità, mi possa fortemente contraddire su tutti i fronti.