I figli del diluvio di Lydia Millet

Trama Un’estate, un gruppo di famiglie si riunisce in una villa a due passi dall’oceano per trascorrere insieme una lunga vacanza. Per madri e padri significa passare il tempo tra vizi e alcol, in un infinito happy hour; mentre i figli, ragazzi e ragazze dai sette ai diciassette anni, lasciati a loro stessi, creano una comunità e si nascondono l’un l’altro l’identità dei genitori, cercando di non essere collegati in alcun modo a quegli adulti imbarazzanti. Ma l’arrivo di un diluvio devastante sconvolge i loro piani. Il piccolo Jack, ispirato da una Bibbia illustrata, decide di salvare più animali possibile; sua sorella Eve e gli altri ragazzini lo aiutano, raccogliendo viveri nelle case sugli alberi. Ma la tempesta infuria, distrugge la villa e le città, e per salvarsi i ragazzi sono costretti ad abbandonare i genitori, depressi e disorientati, per ritrovarsi da soli in un territorio caotico e irriconoscibile. Ironico e drammatico, crudo e fiabesco, “I figli del diluvio” è un romanzo vertiginoso, che parla di una società fragile che corre ciecamente verso il disastro, dove gli adulti hanno perso ogni visione e dove la speranza può esistere solo nella radicale innocenza dei bambini, che si affidano alla Natura trovando nuovi linguaggi, nuovi sguardi, nuove risorse per reinventare il mondo.

I figli del diluvio di Lydia Millet, libro di narrativa contemporanea pubblicato da NN Editore il 17 giugno appena trascorso.

I problemi che affliggono il nostro secolo sono tanti. La crisi della credibilità delle istituzioni, connessa all’elevatissimo debito pubblico accumulato negli ultimi decenni dai paesi industrializzati del vecchio continente, è alla base di questa piramide che sembra non avere fine. Non viene a mancare solo il lavoro ma anche la salute, gli affetti, la voglia di mettersi in gioco, la speranza.

E se la vita -compresa quella degli esseri umani- non è altro che un ciclo, in cui anche le crisi dei massimi sistemi mondiali vanno e vengono, gli adulti di oggi si trovano a fronteggiare un problema di natura sociale difficile da scardinare: l’assenza di valori. Questa una volta era “l’età della ragione” alla quale si attribuivano responsabilità e prestigio. Oggi tale prestigio lascia il posto al peso che grava su spalle e coscienza inibendo così il desiderio di crescere.

La società degli eterni adolescenti dà così valore ad uno stato di semi-adulto: i genitori regrediscono, diventando più simili ai bambini, e i bambini sono quindi costretti a diventare adulti troppo presto, senza mai riuscirci completamente. In pratica, gli adulti regrediscono all’adolescenza e gli adolescenti perdono il desiderio di diventare adulti.

In questo circolo vizioso, scopriamo che diventare adulti non è solo un passaggio naturale del nostro ciclo di vita, ma rappresenta anche -e soprattutto- un grande atto di coraggio. Un coraggio, però, che al contrario della temerarietà adolescenziale, si basa su una più profonda consapevolezza di sé, delle proprie risorse e dei propri limiti.

E così arriviamo ad oggi, un momento storico in cui non è più possibile fare finta di niente su tutti i fronti ed i massimi sistemi diventano i nostri problemi, come fossero del nostro vicino.

Arriviamo al punto in cui i giovani incolpano giustamente gli adulti per il disinteresse nei confronti del futuro, per la devastazione dell’intero pianeta. Ed I figli del diluvio di Lydia Millet racconta proprio una storia distopica di alienazione giovanile e apocalisse ambientale che ha risuonato profondamente in me.

Ambientata in America, ipoteticamente sulla costa orientale vicino a New York, la storia è narrata in prima persona da Evie, un’adolescente borghese con mente acuta e lingua affilata. In una grande villa sta trascorrendo l’estate insieme ad altri ragazzi, tutti figli di genitori che hanno condiviso gli studi. Ma mentre i genitori trascorrono la maggior parte del loro tempo intrattenendosi tra chiacchierate “da adulti”, bevute e sordidi appuntamenti, i ragazzi devono cavarsela da soli. Nessuno presta loro attenzione, nonostante molti siano dai 9 ai 17 anni, perché tutti sono convinti che quello sia un luogo sicuro dove lasciarli vivere in autonomia.

Al centro del romanzo ci sono le relazioni complicate tra i ragazzi e i loro genitori. In un mondo in cui il privilegio conquistato da questi ultimi dovrebbe produrre soddisfazione nei ragazzi, in realtà questi ottengono tutto dai loro genitori tranne ciò di cui hanno effettivamente bisogno.

I genitori infatti si dimostrano quegli eterni adolescenti irresponsabili e distaccati di cui è piena la società di oggi. Certo, talvolta sono dipinti in modo estremo (e forse irrealistico), ma questa iperbole funziona davvero bene per il romanzo.

Mentre Evie si occupa del fratello minore Jack -molto più di come dovrebbero fare i loro genitori-, intravediamo questo mondo strano e privilegiato che sembra tanto distante dalla realtà. Tuttavia la fredda lucidità della ragazzina ci guida attraverso bassezze e sordidi vizi, incongruenze e bugie che rappresentano perfettamente l’oblio in cui versano gli adulti dell’epoca moderna.

Quando un devastante uragano si abbatte sulla costa, la preoccupazione degli adulti si sposta sull’incolumità della casa che rischia di essere spazzata via. E nel caos più totale i ragazzi sono costretti a cercare rifugio mentre imperversa il pericolo.

In tutto questo dramma dai risvolti spesso tragicomici raccontati dalla sagace Evie, c’è Jack che ha nove anni, è un bambino intelligente, sensibile e sognatore. Preoccupato per l’ambiente e  l’incolumità degli animali, rimane folgorato da un libro intitolato “La Bibbia di un bambino: storie dell’Antico e del Nuovo Testamento”, regalatogli da una mamma del gruppo.

Ora, tutti sappiamo quali argomenti tratta e quanto Noè abbia fatto per salvare tutte le specie terrestri. Ed immaginatevi lo stupore che solo un bambino, proveniente da una famiglia atea, potrebbe provare: Jack divora quel libro, pur non avendo mai sentito nessuna delle storie prima, immedesimandosi tanto da decidere di iniziare una crociata per la salvezza umana.

Il vero colpo di genio del libro è la rievocazione di alcune delle più grandi storie della Bibbia, e nessuno ne è a conoscenza tranne Jack: vediamo sfilare Caino e Abele, il grande diluvio e Noè, una piaga d’Egitto, l’Esodo, una nascita in un fienile con angeli e asini, una sorta di crocifissione e ombre inquietanti del Libro dell’Apocalisse.

Scritto in un modo tanto fantasioso quanto ingegnoso, I figli del diluvio di Lydia Millet è decisamente un libro che non ti aspetti. Dal mio punto di vista la vera genialità sta nella rievocazione di una delle più grandi storie della Bibbia, raccontata -e rivissuta- dal punto di vista dei ragazzi. Inoltre, messa sullo stesso piano dei mali del mondo moderno, aumenta la percezione di ciò che è sbagliato puntando l’attenzione sui bisogni dei ragazzi che un giorno saranno il futuro. Chiaramente gli archetipi del Paradiso, del Giardino dell’Eden, dell’Esilio, di Caino e Abele e così via, sebbene rielaborati nei minimi dettagli, non hanno lo stesso peso simbolico che il lettore potrebbe aspettarsi. Le storie però possono fiorire all’interno della vicenda vissuta da Jack e dagli altri ragazzi restando coerenti e perfettamente ficcanti.

Tutto è correlato e tutto ciò che facciamo ha un effetto sul mondo in cui viviamo. Per Jack la Bibbia è solo un vecchio libro pieno di enigmi da risolvere e a cui dare un senso. Non è affatto sorprendente vedere le associazioni che crea con la società in rapida disintegrazione in cui vive.

L’autrice sembra cercare lo stesso tipo di effetto narrativo della Bibbia, riferendo ciò che accade in modo che chiunque legga successivamente possa essere in grado di risolvere il puzzle di ciò che è successo -e forse di ciò che è stato sbagliato-.

C’è molto a cui pensare qui, dalla questione della genitorialità alla scarsa consapevolezza degli adulti passando direttamente ai problemi della nuova generazione fino a quelli del mondo, il clima, la sostenibilità, il vivere bene in comunione con la natura. Gli argomenti sono davvero ostici eppure le pagine scorrono veloci grazie alla penna incredibile della Millet. Non ci sono predicozzi anzi, la storia è riportata senza fronzoli dalla vena cinica di Evie semplicemente come uno scienziato potrebbe consegnare un rapporto.

Avvincente ed accattivante, I figli del diluvio è infine una lettura critica e riflessiva sul mondo di oggi. La giusta antitesi de Il signore delle mosche di Golding, strizzando l’occhio alla narrazione di Cormac McCarthy. Un avvertimento poetico ma assolutamente straniante sui pericoli molto reali e imminenti rappresentati dal collasso della società insieme al cambiamento climatico di cui tutti siamo responsabili.

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