Dark Red di CJ Roberts
Titolo: Dark Red (Captive Series #2)
Autrice: CJ Roberts
Genere: Dark Romance
Trama
Eccitante, intrigante, pieno d’azione.
Qual è il prezzo della redenzione?
Salvato dalla schiavitù sessuale da un misterioso agente pakistano, Caleb porta il peso di un debito che dev’essere pagato con il sangue.
La strada è stata lunga e costellata di incertezze, ma per Caleb e Livvie sta per finire tutto.
Finirà per rinunciare alla donna che ama pur di avere vendetta?
O sarà lui stesso a sacrificarsi?
«A Caleb sembrava che la natura degli esseri umani ruotasse intorno a una verità empirica: volere quello che non possiamo avere. Per Eva, era il frutto dell’albero proibito. Per Caleb, era Livvie.»
Recensione di Sara B. – Dark Red di CJ Roberts secondo capitolo della Captive Series pubblicato da Newton Compton il 17 luglio.
“Faccio questo da molto tempo: manipolare le persone per ottenere ciò che voglio. E’ per questo che pensi di amarmi. Perché ti ho demolito e ricostruito per fartelo credere. Non è stato un caso. E una volta che ti sarai lasciata tutto questo alle spalle lo vedrai.”
Delusa. Ecco come mi sento dopo aver finito questo libro. Perché? Perché un libro del genere, un libro che ha tantissimo da dire non può svilupparsi da metà in poi. La prima parte è un caos generale. Non sto scherzando, non riuscivo davvero ad andare avanti perché non si capiva assolutamente nulla.
Pov. Pov alternati. E fin qui è abbastanza chiaro. Anzi, forse no. Non essendo nemmeno specificato a inizio capitolo, per l’ennesima volta chi legge deve usare la sfera di cristallo e tirare a sorte su chi sta narrando. Sì, passate le prime righe lo capisci, ma era davvero così difficile specificarlo? Perché chi legge deve impazzire? Ma non è finita qui.
Si parte dal pov di Livvie dopo il ritrovamento. E tu ti chiedi: che ritrovamento? Quando è successo? Non era finito, il primo libro, con il possibile incontro con Rafiq? Ho sbagliato libro e sono passata al terzo? Ma, almeno, qui viene specificato a inizio capitolo: tot giorni dopo il ritrovamento.
Oltre a questo pov di Livvie c’è lei che racconta la sua storia, ciò che succede in quei mesi all’agente Reed, dell’FBI. Ma chi legge come fa a capire quando Livvie ricorda ciò che è successo e quando parla al presente, se i ricordi non sono nemmeno scritti in maniera differente? Se si passa da una riga all’altra dal presente ai ricordi?
Ma questo non basta, ovviamente. Perché in mezzo ai pov sconclusionati di Livvie ci sono quelli di Caleb. Sì, quelli. Plurale. Caleb racconta i mesi che Livvie ricorda, e in mezzo e senza specificare quando si cambia anno, mese o persino decennio, Caleb racconta di quando era un bambino.
E io mi chiedo: ma era davvero così difficile specificare chi parla, e se lo fa da bambino o da adulto? “Livvie, 4 mesi fa” “Caleb, bambino. Teheran”? Sarebbe davvero stato tutto più semplice e mi sarei evitata un mal di testa assurdo.
Ad ogni modo, torniamo alla trama. Nella prima parte della storia, fino al 60% del libro, è tutto lento, noioso e non rispecchia per nulla quello che ci si aspetta da questo genere. Non so se sia per via dei mille pov non specificati, se scriverli così sia stata una scelta dell’autrice, ma ho davvero fatto fatica ad andare avanti. Si salvano davvero pochi fatti, e la necessità di Caleb di istruire Gattina all’obbedienza e la sottomissione è una di queste. Lui ha necessità di farlo, con l’arrivo imminente di Rafiq, e siamo messi davanti al fatto che Caleb, ancora, può solo scegliere la vendetta.
«Io non voglio vendicarmi Caleb. Io non voglio diventare come te, non voglio che una vendetta mi rovini la vita. Io voglio solo la mia libertà. Voglio essere libera, Caleb. Non la puttana di qualcuno… nemmeno la tua.»
Quindi eccoci nella seconda metà del libro, in cui succedono davvero troppe cose tutte assieme. Improvvisamente i sentimenti prendono il sopravvento su Caleb. E, da un personaggio del genere, non te lo aspetti. Non ti aspetti che si svegli dal giorno alla notte, che basti costringere Livvie a fare una cosa, perché i sentimenti vengano fuori e ti portino in un mondo di arcobaleni e fiorellini. Incoerente con il personaggio, davvero. Avrei preferito una discesa lenta e ben costruita dall’inizio del libro per il viaggio di Caleb nei propri sentimenti, non ciò che è successo.
Livvie, poi. Stendiamo un enorme lenzuolo sul suo personaggio. Se, nel primo libro, mi sembrava abbastanza forte e decisa, qui è proprio caduta con tutto il corpo nell’espressione “cagnolino”.
Devo ringraziare le ragazze del blog, perché hanno ascoltato i miei scleri contro questo personaggio con la dignità sotto i piedi, che ha raggiunto il massimo in un momento preciso nella prima metà del libro: caleb, per dare a Livvie una lezione, fa sesso con un’altra nel loro letto, davanti a lei. E sì, ho esultato quando lei lo schiaffeggia. E poi? Grande, grandissima delusione perché basta che lui le sfiori i capelli dicendole di dormire li con lui, per diventare una mammoletta bagnata e accondiscendente, con ancora il corpo dell’altra donna li accanto!
Non ci siamo. Io capisco la Sindrome di Stoccolma, capisco l’essere innamorata ma c’è sempre una dignità che, dentro di noi, lotta per venire fuori. I sentimenti sono forti, ma è poi una tua scelta essere trattata in un certo modo. Puoi farlo per sopravvivere, ma è diverso dal farlo perchè lo si vuole, calpestando dignità, orgoglio e qualsiasi cosa ti renda una persona e una donna. Soprattutto se un momento prima ti comporti come una persona normale, decisa a non sottometterti alla situazione e poi, nel giro di due secondi e mezzo, cambi completamente idea perché ti lasci soggiogare dai bisogno del tuo corpo.
“Ecco cosa mi aveva fatto. Mi aveva fatto provare la paura. Mi aveva costretto ad avere bisogno di lui.”
Caleb è riuscito a fare ciò che doveva. Ha reso Livvie dipendente da lui per tutto, usando ogni mezzo necessario per confonderla. Per spezzarla e ricostruirla come voleva, per essere implorato per qualcosa di così semplice per noi come poter mangiare o andare al bagno. E’ riuscito a mettere Livvie nella posizione in cui lei non è nulla. Ciò che vuole non conta nulla. L’unica cosa che davvero importa sono i desideri del suo Padrone, l’unica cosa a cui deve pensare.
E’ riuscito, ma non del tutto, a distruggere, spezzare Olivia. E da quel corpo spezzato e distrutto è nata Gattina, che dentro di sè ancora racchiude un barlume di decisione e coraggio di Livvie.
“Volevo chiedergli cosa fosse così impossibile, ma sapevo già la risposta. Non poteva abbandonare la vendetta, ma poteva abbandonare me.”
Mi è dispiaciuto così tanto leggere il susseguirsi affrettato di tutto ciò che è successo nella seconda metà del libro. Perché seriamente, per la trama, per i dettagli, per quanto sia reale questa situazione questo libro meritava il massimo. Ma non posso darglielo, non quando ci sono tutte queste cose che, a mio parere, non vanno bene.
Avrei voluto sapere qualcosa di più su Felipe e Celia, ad esempio. Non puoi buttare nella mischia due personaggi, accennare qualcosa fino a suscitare la curiosità del lettore per poi ignorarli completamente.
Il finale. Dico solo che sembra una dannata favola. La parte di me romantica ne è felice, perché per tutto il libro continuavo a chiedermi che cavolo fosse successo in Messico. Perché Livvie fosse con l’FBI, perché fosse convinta di alcune cose. E leggere il finale è stato bello, davvero. Ma la mia parte razionale continuava a chiedersi che cavolo centrasse con un personaggio come Caleb, che magicamente dal giorno alla notte è pieno di sentimenti. Questa cosa l’ho trovata troppo incoerente per il suo personaggio. Quando ha sofferto così tanto in passato, quando la verità sul suo passato è stata svelata (e oddio, che colpi di scena! però tutto affrettato, appunto, nella seconda metà del libro) e lui ne esce distrutto, sarebbe bello pensare che sì, basta l’amore a sistemare ogni cosa. Ma se una persona ha vissuto per anni in un modo, rinunciare a tutto ciò che conosce non è semplice. E’ la natura dell’essere umano scegliere ciò che si conosce all’ignoto. L’ignoto fa paura. L’ignoto significa cambiamento e certe ferite, certe cicatrici sono davvero troppo profonde per venire ignorate. E, per me, nel finale sono state ignorate.
La scelta di Caleb in macchina con Livvie, e capirete di quale scelta parlo, è stata perfetta per il suo personaggio. E’ stata reale, sincera, e l’unica veramente possibile. E sì, in quel momento mi sono sentita addirittura fiera del modo in cui l’autrice ha scelto di essere fedele al personaggio che è stato Caleb dall’inizio del primo libro.
Un uomo pieno di cicatrici, freddo e manipolatore. Un uomo che conosce il dolore, l’obbedienza e il rispetto ma che, quando capisce che una ragazzina è capace di stravolgergli la vita, è combattutto tra il bisogno di fare ciò che sente deve essere fatto e ciò che vuole davvero. Insomma, sarebbe stato bellissimo leggere di una lotta più complicata e lunga dentro Caleb, l’indecisione tra Rafiq e Livvie, mi sarebbe piaciuto leggere della sua battaglia interiore. Ma come ho già detto e ripetuto è stato sviluppato tutto nella seconda parte del libro
E sono così delusa da ciò perché, se dovessi giudicare solo la seconda parte allora sarebbe un libro imperdibile. Così? Così è carino. E mi dispiace doverlo dire.
“Aveva sempre creduto di essere fortunato a essere ancora vivo ed era grato a Rafiq. Caleb gli era ancora grato e sempre lo sarebbe stato ma, fino a Livvie, non aveva mai saputo com’era avere qualcuno che teneva, teneva davvero, a lui.”
Spero nel terzo, spero in una Livvie con le palle che metta Caleb davanti a ciò che le ha fatto e da lì possano ricominciare, senza lasciar da parte verità e, soprattutto, un rapporto alla pari bastato su fiducia e amore. Sì, ci spero ancora. Spero nel lieto fine, che Caleb maturi e di poter leggere il suo viaggio nell’accettazione di questi sentimenti per Livvie, perché sarà sicuramente doloroso, ma ne varrà la pena.