Che dispiacere di Paolo Nori

Trama Bernardo Barigazzi è uno scrittore che ha cominciato a fare il giornalista ma non l’ha detto a nessuno. Quando non scrive è impegnato a corteggiare Marzia, barista laureata in filosofia, con cui ha una relazione fatta, prevalentemente, di appuntamenti mancati. Con lo pseudonimo di Ivan Piri dirige “Che dispiacere”, un giornale sportivo che esce in edicola solo i giorni successivi alle sconfitte della Juventus. Sembrerebbe uno svago innocente, finché Barigazzi non si trova suo malgrado coinvolto in un’indagine di polizia. Manuel Carrettieri, ultrà con la passione per la cocaina, è stato ucciso e più di un indizio collega Barigazzi al delitto. In una Bologna autentica e insieme fiabesca, tra le osterie del centro e i vialoni della periferia, va in scena una commedia degli equivoci popolata di indimenticabili protagonisti, densa di umorismo e umanità. Per la prima volta Paolo Nori si misura con il giallo, passando dal racconto in prima persona a quello in terza, e orchestrando una sinfonia di voci e personaggi.

Che dispiacere di Paolo Nori, noir pubblicato da Salani lo scorso 18 giugno.

Paolo Nori ha scritto un noir, brucio subito la battuta idiota così poi penserete che sono una persona seria. Avete colto il gioco di parole almeno? Nori e noir, su, non è difficile. È un anagramma. Paolo Nori ha avuto la grande sfortuna di essere recensito da me e di entrare nella mia vita nel momento peggiore. Perché io, divoratrice seriale di gialli, thriller e noir, non appena cominciano a frinire le cicale – e non quelle della Parisi –, complici i miei due neuroni che, tenuti in vita da un criceto abusivo che abita nella mia testa e non paga l’affitto, cominciano ad andare in corto circuito, mi perdo. Perdo la voglia di leggere a discapito poi di libri non solo belli e godibili, ma geniali soprattutto per il modo in cui sono stati scritti.

E quindi scusami, Paolo Nori, scusami perché fondamentalmente abbiamo delle cose in comune io e te, a cominciare dalla passione per gli autori russi. Tu li studi da una vita, io li uso per combattere l’insonnia.

E scusami anche perché, quando ho letto la sinossi del libro, ho fatto confusione, tutta colpa di una preposizione semplice. Chissà dove mi trovavo il giorno in cui la mia maestra elementare le spiegava. Io non ho letto una indagine “su” Bernardo Barigazzi, ma una indagine “di” Bernardo Barigazzi, e ho stupidamente pensato che il protagonista fosse un commissario. Ok, torniamo nei panni della blogger seria, panni che vesto illegalmente perché io e la serietà non ci siamo mai formalmente presentate.

Ho letto due volte Che dispiacere, la prima mi sono un po’ sentita presa in giro, come quando il mio compagno mi dice che vuole raccontarmi qualcosa e non ha il dono della sintesi. Comincia con l’antefatto, poi inserisce i personaggi dei quali mi racconta tutti gli episodi precedenti, in seguito accenna alla vicenda principale, ma poi torna a divagare, ed io sono sempre incerta se farlo fuori o concedergli la grazia. Alla seconda lettura, invece, ho intravisto la genialità del romanzo, credo di essermi anche guadagnata un TSO, perché potrei aver riso sguaiatamente mentre viaggiavo in treno, e gli altri passeggeri han pensato bene di aumentare la distanza fisica che la recente pandemia ha imposto.

Che dispiacere è intriso di quella ironia che non è per tutti, di quel senso dell’umorismo sottile che non ti aspetti di trovare dentro ad un noir, e di un linguaggio parlato e ripetuto volutamente più volte per cercare di far impazzire anche il lettore più serioso e coriaceo.

Bernardo Barigazzi è uno scrittore discretamente famoso, vedovo da pochi mesi, che cerca di far colpo su una barista con la quale non riesce mai a portare a termine un appuntamento. Sarà che, oltre a fare lo scrittore, ha un hobby curioso del quale sono a conoscenza pochissime persone. Si diletta a fare il giornalista sotto pseudonimo di una sorta di magazine che non viene pubblicato sempre ma in determinati frangenti, ovvero solo dopo che la Juventus perde le partite giocate. L’idea geniale gli è venuta quando si è reso conto che gli altri quotidiani sportivi diventavano un po’ troppo parchi di parole e articoli quando si trattava di parlare delle disfatte dei bianconeri. Ed ecco la trovata geniale di pubblicare la rivista solo il giorno dopo una sconfitta della squadra. Squadra che non è neanche quella per la quale tifa lo scrittore. Non ha mai firmato con il proprio nome ma ha sempre usato lo pseudonimo di Ivan Piri. Ed è per questo che, quando viene rinvenuto il cadavere di un ultrà, nel cui telefono figura tra le chiamate effettuate quella a Ivan Piri, il nostro Bernardo Barigazzi si ritrova ad essere il principale sospettato dell’omicidio.

Ed è in un crescendo di equivoci e di personaggi variegati e assurdi che si dipana quello che credo sia il primo giallo comico nella storia della letteratura. Non ho mai incontrato all’interno di una trama caratterizzazioni così sopra le righe, che danno non solo spessore a quello che di fatto è un giallo, ma restituiscono al lettore dei personaggi che faticherà a dimenticare. E leggerete con il sorriso sempre stampato sulle labbra, anche se il tipo di linguaggio usato dall’autore può sembrare un po’ troppo ripetitivo e sfiancante. Sarete lì, passando da una risata all’altra, a chiedervi dove voglia andare a parare questo flusso ripetuto di parole, questo linguaggio confidenziale, questa capacità di far sentire anche voi parte di una storia. E nel frattempo vi tatuerete in fondo al cuore ogni singolo personaggio. Io ho lasciato un po’ del mio affetto alla povera moglie defunta di Barigazzi e dalla citazione che vi metto sotto non faticherete a capirne il motivo.

Gli erano mancate le discussioni che facevano, che succedeva che quando parlava con lei, che non erano d’accordo su qualcosa, che avevan ciascuno una propria teoria, per esempio sull’educazione dei bambini, lei diceva che la teoria che aveva lei era una teoria che ce l’avevano tutti, al mondo, la teoria che aveva lui, invece, era una coglionata.”

Fate un favore a voi stessi e leggete questo libro, poi fatene uno anche a me e spiegate a Paolo Nori che sono astemia e non faccio uso di sostanze stupefacenti.

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