Blog Tour – Le sarte di Auschwitz di Lucy Adlington

Trama Irene, Renée, Bracha, Katka, Hunya, Mimi, Manci, Marta, Olga, Alida, Marilou, Lulu, Baba, Boriška… Durante la fase culminante dello sterminio degli ebrei d’Europa, venticinque giovani internate nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau furono selezionate per disegnare, tagliare e cucire capi d’alta moda destinati alle mogli delle SS del lager e alle dame dell’élite nazista berlinese. Tranne due prigioniere politiche francesi, le ragazze erano tutte ebree dell’Europa orientale, la maggior parte slovacche, giunte al campo con i primi trasporti femminili nel 1942, dopo essere state private di tutto. Trascorrevano le giornate chine sul loro lavoro, in una stanza situata nel seminterrato dell’edificio che ospitava gli uffici amministrativi delle SS. La loro principale cliente era la donna che aveva ideato l’atelier: Hedwig Höss, la moglie del comandante. Il lavoro nel Laboratorio di alta sartoria – così era chiamato il locale – le salvò dalla camera a gas. I legami di amicizia, e in alcuni casi di parentela, che univano le sarte non solo le aiutarono a sopportare le persecuzioni, ma diedero loro anche il coraggio di partecipare alla resistenza interna del lager. Attingendo a diverse fonti, comprese una serie di interviste all’ultima sopravvissuta del gruppo, Lucy Adlington narra la storia di queste donne. Mentre ne segue i destini, intreccia la loro vita personale e professionale all’evoluzione della moda e della condizione femminile dell’epoca e alle varie tappe della politica antiebraica in Germania e nei territori via via occupati dal Terzo Reich. “Le sarte di Auschwitz” racconta gli orrori del nazismo e dei campi di concentramento da una prospettiva originale e offre uno sguardo inedito su un capitolo poco noto della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto. E allo stesso tempo è un monito a non sottovalutare la banalità del male.

Le sarte di Auschwitz di Lucy Adlington, libro di narrativa storica pubblicato da Rizzoli l’11 gennaio appena trascorso. 

Blog Tour – Conosciamo Hedwig Höss

Si avvicina il 27 gennaio, la Giornata della Memoria, ricorrenza internazionale per commemorare le vittime dell’Olocausto.

Ed è giusto fermarsi a ragionare e riflettere su ciò che ha significato lo sterminio sistematico di milioni di individui, per il solo fatto di essere ebrei.

Per questo ogni anno leggo un libro che mi racconti cos’è successo in quel periodo nero della storia dell’umanità. E Le sarte di Auschwitz di Lucy Adlington ne sono una degna rappresentanza.

La storia commovente, ma soprattutto crudele, racconta l’esperienza di donne che hanno cercato di sopravvivere ai rigori e alla violenza omicida di un campo di sterminio nazista usando il loro talento per realizzare abiti eleganti: delle sarte, appunto.

Questo libro non ci offre solo un punto di vista sulla vita vissuta ad Auschwitz, ma ci porta ancora più indietro nel tempo, all’inizio della storia, per ripercorrere l’impatto del nazismo sull’industria della moda. Come furono sradicati i commercianti, costretti a cedere i loro negozi; come nacquero nuovi stili e tendenze atte a idealizzare la moda per le donne; e come i nazisti riuscirono a reperire, in un momento così critico, filati e tessuti. Ma soprattutto, in contrapposizione con questa vita che spingeva all’espansione, come gli ebrei furono spogliati di tutto ciò che avevano -dignità compresa- prima ancora di raggiungere i campi di concentramento.

Se non vi siete mai interessati a questo argomento vi consiglio caldamente di farlo nonostante faccia davvero molto male al cuore.

Lucy Adlington per scrivere questo libro ha svolto ricerche davvero approfondite, lo si capisce fin da subito. Ogni dettaglio è sapientemente descritto in maniera minuziosa e la trama segue i fatti realmente accaduti a queste donne che raccontano attraverso la carta le loro famiglie, i loro progetti e tutta la loro forza. Tutte hanno sofferto perdendo un po’ di loro stesse, pezzo dopo pezzo, ma nonostante le barbarie subite sono riuscite in una maniera del tutto fortuita a salvarsi.

Quando arrivano ad Auschwitz vivono orrori indicibili ma il caso vuole che sia proprio Hedwig Höss, il cui marito Rudolf era a capo del campo di concentramento, a salvare loro la vita.

Hedwig condivideva il desiderio dell’élite nazista di indossare abiti attraenti e in linea generale abbracciava le idee politiche del nazismo, volendo semplicemente vivere una vita in contatto con la natura riportando al centro di tutto la razza ariana, l’unica capace di ristabilire ordine e pace. Ma come la maggior parte delle mogli di questi squadristi della morte, anche Hedwig rifugge la verità sullo sterminio e le barbarie che si consumavano proprio al confine con casa sua. Infatti viveva con i suoi figli negli alloggi degli ufficiali del campo di sterminio di Auschwitz, in una bella villa con vasti campi che lei amava chiamare il suo Paradiso. Eppure nella caserma attigua erano detenuti circa 20.000 prigionieri, lavoratori schiavi, gravemente malati e oberati di lavoro, privi di cibo, acqua, scarpe e vestiti. Quel Paradiso fatto di ipocrisia ed ignoranza confinava con la Caserma 11, famigerata per le torture, gli omicidi e le impiccagioni individuali. Lo stesso posto in cui ogni sabato mattina le SS e la Gestapo fucilavano regolarmente fino a 300 detenuti.

Le camere a gas funzionavano a pieno regime uccidendo fino a un milione di persone e la fuliggine che cadeva copiosa nei campi di casa Höss concimava con resti umani  gli ideali stessi dei torturatori.

Sarà la crescente popolarità tra i personaggi influenti del regime a spingere Hedwig a creare un laboratorio di abbigliamento. In verità l’idea è di una donna acuta ed arguta di nome Marta, una prigioniera che lavorava già a casa Höss come sarta. Questa coraggiosissima donna riesce a sfruttare la propria opportunità per aiutare altri meno fortunati nel campo, trovando il favore della padrona e poi di altre sarte nel campo stesso. Quando le mogli delle SS scoprono la provenienza degli abiti di Hedwig, meravigliosamente confezionati, ne sono invidiose. Così Hedwig amplia il suo laboratorio di cucito, dalla soffitta di casa ad un salone di moda selezionato.

Non sembra ironico che gli uomini e le donne nazisti volessero liberare il mondo dall’intera razza ebraica, costringessero gli ebrei a cedere loro gli affari e tutti i beni di qualsiasi valore, ma trovassero accettabile servirsi di queste donne per farsi confezionare dei vestiti?  E’ tutto una grandissima follia.

Marta ha usato la sua posizione per suggerire e scegliere altre donne su cui poteva contare per cucire. Così, lavorando nel salone di moda di Hedwig, si salvano 25 donne, sarte comuniste ebree e non ebree che hanno creato della bellezza in abiti per le stesse persone che le disprezzavano come sovversive e subumane. Le esperienze dei lavoratori dell’abbigliamento sono vividamente ricreate attraverso l’ampia ricerca condotta dall’autrice, comprese le interviste con Bracha Kohut, l’ultima sarta sopravvissuta, colei che fa da fil rouge in tutta la storia. Kohut, come i suoi colleghi, era stata strappata alla sua vita normale dai nazisti, separata dai suoi cari e costretta ad assistere ad atti sadici di crudeltà. Tutti loro hanno perseverato nonostante quei tormenti, lottando per utilizzare ago, filo e tessuto per rimanere in vita un giorno alla volta, temendo l’esecuzione se un disegno non soddisfaceva sufficientemente i loro “clienti”.

Il 16 aprile 1947 il marito di Hedwig, Rudolph Höss, viene impiccato come un importante criminale di guerra. Nel frattempo la sua famiglia, Hedwig compresa, riesce ad espatriare in America dove vivrà fino alla fine negando allo strenuo l’esistenza dell’Olocausto.

Le sarte di Auschwitz è sicuramente un libro da leggere per ricordare e apprezzare l’impegno dell’autrice, che è riuscita a mantenere fede alla storia e ai ricordi personali degli ultimi membri sopravvissuti del laboratorio di sartoria. Vi posso assicurare che anche gli avvezzi a questo genere di lettura si ritroveranno sorpresi e colpiti. Le storie di sopravvivenza e resilienza di queste donne davvero speciali nella loro normalità mi hanno affascinata e spero possiate apprezzarle anche voi.

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