Blog Tour – Il bosco ricorda il tuo nome di Alaitz Leceaga – Ambientazione
Buongiorno smeraldi e benvenuti alla tappa del blog tour di Il bosco ricorda il tuo nome di Alaitz Leceaga, in uscita con Garzanti il 20 settembre, dedicata all’ambientazione. Non è stato per niente semplice creare le immagini perché il libro è ricchissimo di luoghi e quindi mi sono dovuta dare parecchio da fare, spero di scatenare la vostra curiosità grazie ai collage e agli estratti del libro.
Buona visione e buona lettura.
IL BOSCO
Il sole del pomeriggio ci raggiungeva a fatica attraverso gli alti rami del bosco intrecciati come una cupola vegetale.
Alma accarezzò l’edera che saliva lungo il tronco dell’ultima quercia. Dei fiorellini azzurri vi crescevano in mezzo come una collana di perle.
Eravamo quasi arrivate alla radura, lo sapevo perché avevo riconosciuto i faggi ritorti che ci eravamo lasciate alle spalle e le felci dalle foglie grandi e lucide. Dal punto in cui ci trovavamo sentivo già l’acqua del ruscello scorrere rapida. Dopo essere passate in mezzo ai quattro pini alti come torri di avvistamento, che svettavano formando una linea quasi retta, vidi il prato di fiori selvatici ed erba alta.
Alcuni soffioni di dente di leone fluttuavano fra i raggi del sole pomeridiano e si perdevano sull’altra sponda del ruscello, tornando nel bosco scuro.
VILLA SOLEDAD
Il giorno in cui compimmo tredici anni la mamma ci regalò una casa delle bambole. Era una replica in scala ridotta di Villa Soledad, con il tetto verde vivo fatto con piccole lastre di ardesia, la facciata di pietra grigia e rugosa con le finestre che per il capriccio di nonno Martín erano tutte di forme differenti, il lungo balcone che percorreva la facciata al secondo piano e collegava le principali camere da letto della casa, il nostro torrione con le finestre rotonde e l’ingresso principale della tenuta con il portone verde a due battenti e il chiavistello dorato.
«Però mancano il giardino tutto intorno, la serra della nonna, la cappella, il cimitero e il muro che circonda il terreno», elencò Alma. «E non vedo nemmeno la fontana con dentro i pesci giapponesi.»
Nel giardino laterale c’era la serra di nonna Soledad. Aveva scelto quel luogo, nonostante fosse lontano dal giardino sul retro, proprio perché era uno dei pochi in cui la luce del sole riusciva ad arrivare. In quella serra la nonna coltivava le sue famose rose, le più grandi e setose che avessi mai visto, protette dietro le pareti di vetro dagli elementi, soprattutto dal vento del nord che a volte sferzava il giardino trascinandosi appresso l’odore del mare.
La facciata di Villa Soledad era ricoperta di edera. L’enorme rampicante saliva lungo il profilo delle finestre della cucina al primo piano, girava intorno alle grandi vetrate della sala da ballo e della sala ricevimenti e continuava ad abbarbicarsi alla facciata fino al secondo piano e poi ancora più su, fino al tetto verde smeraldo.
«Per fortuna in estate, quando mette le foglie e sui rami crescono dei fiori azzurri, è un po’ più bella. Fidati, questa maledetta pianta serve solo ad attirare in casa tutti gli insetti.»
Ero ormai vicinissima a Villa Soledad e già vedevo l’enorme palma del giardino principale, piantata per indicare che quella era la tenuta di un uomo che aveva fatto fortuna nelle Americhe e non di un ricco qualunque.
La tenuta che portava il nome di mia nonna aveva grandi vetrate orientate a sud, stanze verandate, lucernari e finestre curve per assorbire quanta più luce possibile, perché sulle rive del Cantabrico il sole era tanto raro quanto amato.
BASONDO – SPAGNA
…avanzavo fra gli stretti vicoli tortuosi di Basondo, costruiti seguendo la forma affilata del paesaggio sul Cantabrico. A Basondo la terra era irregolare e tagliente, e seguiva sempre la capricciosa linea della costa. Non c’era un solo terreno in piano, né uno slargo abbastanza grande per poter tirare su una casa di dimensioni normali.
La chiesa di Basondo era l’edificio più grande del paese, più grande anche del deposito per il ferro dove il minerale appena estratto veniva accumulato in attesa della nave che l’avrebbe portato a destinazione. Era una chiesa in stile romanico; la porta a due battenti aveva la grata e il chiavistello in ferro e la torre campanaria era a pianta quadrata.
«Basondo fa questo strano effetto», disse Liam, sporgendosi leggermente oltre il muretto del cimitero per poter vedere meglio quel che c’era sotto di noi. «Non so se dipende da questo mare, così diverso da tutti gli altri, oppure da questo bosco, che sembra perennemente avvolto dalla nebbia, perfino nelle giornate più limpide.»
GROTTA
«Questo posto è enorme, sarà duecento metri quadrati» calcolò Tomás, guardandosi intorno meravigliato. «E il soffitto… supererà i dieci metri di altezza. Ne valeva la pena, anche se per trovare questo posto ci è toccato camminare nel bosco e sorbirci le recriminazioni di Estrella.» «Sì, non è male», ammisi a denti stretti. «È un ottimo nascondiglio, se non ti danno fastidio l’umidità, il freddo o la possibilità che una di quelle cose ti cada in testa e ti apra in due.» Dall’altissimo soffitto della grotta pendevano decine di stalattiti, da cui l’acqua gocciolava a un ritmo lento ma costante. «Non cadono, Estrella. Le crea l’acqua che filtra dalle pareti e ci vogliono anni e anni perché si formino», si affrettò a correggermi Alma. «Sono lì da tantissimo tempo. Sarebbe proprio un caso se decidessero di cadere in questo preciso momento.»
SURREY – INGHILTERRA
La St Mary’s Boarding School for Girls era un elegante e discreto collegio nel Surrey, a una cinquantina di chilometri da Londra.
La mia vita nel collegio femminile St Mary’s era molto diversa da quella a Villa Soledad. Non c’erano boschi, giusto qualche campo su dolci colline ricoperte di erba corta e fitta; però c’erano diversi alberi, soprattutto tigli e querce, che crescevano distanziati l’uno dall’altro. E neppure si vedeva il mare, né c’erano misteriose grotte con antichi disegni o miniere abbandonate in cui perdersi e dimenticare il mondo.
Il Reginald era un piccolo cinema di Surrey. Io e Lucy ci andavamo una domenica pomeriggio al mese, quando la signorina Richardson lasciava alle allieve del tempo libero e ci dava la possibilità di uscire dai confini della scuola.
Mi ero lasciata per sempre alle spalle le dolci colline di Surrey e i grandi prati ricoperti di folta erba con pochi alberi qua e là.
LAS ÁNIMAS – SAN BERNARDINO
La terra era crepata dal sole, una proprietà di oltre dodicimila ettari, ma guardare in una direzione o in un’altra non faceva alcuna differenza. Il vento soffiava ininterrottamente giorno e notte, riempiva la casa e i polmoni della polvere arancione del deserto.
La valle di San Bernardino copriva tutto il sud della California. Era piatta e aspra, a eccezione di alcune montagne grigie che si alzavano all’orizzonte e si vedevano solo nelle giornate terse. Las Ánimas si trovava a circa trecento chilometri dalla città di Los Angeles.
L’edificio principale della fattoria, invece, era stato progettato basandosi sull’idea opposta: impedire al sole di entrare in casa. Ecco spiegate le finestre piccole e profonde protette da tende spesse e scure, le strette porte sempre chiuse e i pavimenti in ceramica in tutte le stanze. Tutto serviva a tenere lontana la luce del deserto.
MADRID
Ma il palazzotto di calle Bailén era talmente sfarzoso, lussuoso e impossibile da ignorare che avrei convinto anche l’imprenditore più diffidente. Non potevo essere altro che una ricca ereditiera amante delle feste, se vivevo nel palazzotto, con il suo sontuoso vestibolo circondato da colonne in marmo, il salone da ballo che poteva ospitare fino a cento persone, le pareti completamente rivestite in legno di mogano, le tende di seta, l’enorme camino in stile rococò nel salone principale, gli specchi con le cornici dorate nel corridoio in cui mi aspettavo di vedere riflesso il fantasma dell’amante suicida, la piccola cappella di famiglia in fondo al corridoio e una scala in noce che collegava i tre piani e le tredici stanze perché, come mi aveva spiegato il custode, i precedenti proprietari non erano superstiziosi.
Una dimora ai confini del tempo.
Due sorelle legate da un destino comune.
Tre generazioni di donne con un dono straordinario.
Su un’imponente scogliera si erge Villa Soledad, immersa in un fitto bosco di alberi secolari, capaci di custodire qualsiasi segreto nel silenzio del tempo. Quel bosco è il regno delle sorelle Alma ed Estrella. A prima vista non potrebbero essere più diverse: pacata e discreta, l’una, decisa e ribelle, l’altra. Eppure sono accomunate dalla stessa eccezionale sensibilità. Perché dalla nonna hanno ereditato un dono straordinario: conoscono cose che nessun altro conosce e sanno esattamente quando sboccerà il primo fiore di primavera. La loro affinità è unica. Il loro legame necessario e imprescindibile. Fino al giorno in cui tra le due si insinua l’affascinante Tomás, e niente è più lo stesso. Il giovane ammalia il cuore di Alma ed Estrella, e diventa motivo di contesa tra le sorelle, che si accorgono di come il loro legame si stia affievolendo ogni istante di più. Quando un terribile incidente colpisce Alma, e con lei anche il resto della famiglia, Estrella è costretta a fuggire da Villa Soledad e a lasciarsi alle spalle l’unica vita che abbia mai conosciuto. Ma per lei è impossibile ricominciare altrove. Lontano dalle proprie radici. Lontano dal luogo in cui non ha paura di essere sé stessa. Per questo ha bisogno di tornare là, in quel bosco che da sempre chiama casa. Solo quegli alberi, con la loro voce che Estrella sa capire e interpretare alla perfezione, possono guidarla a scoprire una verità che finora le è stata negata.
Alaitz Leceaga è un’autrice rivelazione. A pochi giorni dall’uscita in Spagna, Il bosco ricorda il tuo nome è diventato un fenomeno del passaparola e si è aggiudicato i primi posti di tutte le classifiche nazionali, vendendo migliaia di copie. Definito dalla stampa internazionale più autorevole una grande saga familiare nonché uno dei libri più attesi dell’anno, ha messo d’accordo pubblico e critica. Un romanzo potente su una donna pronta a sfidare senza timore pericoli e convenzioni sociali per difendere un’eredità che appartiene alla sua famiglia da generazioni. Un inno all’indipendenza femminile che non ha confini e sa farsi portavoce e simbolo di libertà.