Blog Tour- Gioia mia di Tea Ranno
Buongiorno, cari Smeraldi, e benvenuti alla tappa legata a Gioia mia di Tea Ranno, terzo volume della serie L’Amurusanza, pubblicato da Mondadori lo scorso 7 giugno. Oggi parleremo di amicizie tutte al femminile, ma prima vi lascio trama e cover del libro e vi invito a seguire le altre tappe del Blog Tour di questo incredibile romanzo.
Trama In cima a una collina che guarda l’Etna da un lato e il mare dall’altro, sorge una masseria circondata da uno spicchio di paradiso: terrazzamenti carichi di ulivi, fichi e pruni, orti traboccanti di erbe e prati fioriti a perdita d’occhio. Questa tenuta magnifica è frutto del sudore e della tenacia di Luisa Russo, che si è intestardita a trasformare le “quattro pietre perse” che le ha regalato suo marito in un castello. Anzi, in una ‘castidda’, perché quella terra è femmina, su questo Luisa non ha dubbi. Femmina e frutto dell’amicizia tra femmine, perché se la Castidda esiste è grazie al successo del ristorante che ha aperto insieme ad Agata, Lisabetta, Violante, Lucietta e le altre amiche sue, conosciuto in tutta la Sicilia per i piatti deliziosi e l’atmosfera ‘amurusa’. Tutta questa intraprendenza femminile dà parecchio sui nervi a suo marito Carmine, che la Castidda non può nemmeno sentirla nominare. Gli speculatori edilizi, invece, non riescono a staccarle gli occhi di dosso: il più agguerrito, presidente di una società assai poco limpida, ci vede già un albergo di stralusso, e per aggiudicarsela farebbe letteralmente carte false. Alle sue prepotenze mafiose Luisa resiste per mesi, finché, dopo l’ennesimo colpo basso, qualcosa le si rompe in petto: un sussulto, una vertigine, e in un attimo è a terra, rigida come una pupa di legno. La corsa in ospedale, la rianimazione, le prime notizie incerte: Luisa è salva, è stabile, ma, per il momento, dorme. E mentre Carmine in sua assenza cerca di sbarazzarsi della Castidda e le amiche, per impedirglielo, la occupano come un fortino, mentre il figlio Giulio e il dottor Giona vegliano su di lei, Luisa continua a dormire. E, dormendo, va indietro nel tempo e ripesca brandelli di vita che la memoria aveva cancellato: certe giornate felici d’infanzia con quel nonno che la chiamava “gioia mia”, il buco che la sua morte le ha scavato nel cuore, quello strano gelo addosso il giorno del matrimonio con Carmine… Fino a che da quel mare di scordanza viene a galla il ricordo riposto più a fondo, la ferita che brucia di più. Tea Ranno ci regala un altro viaggio – pieno di saliscendi impetuosi e approdi inaspettati – nella sua, ormai celebre, terra d’amurusanza, quel posto meraviglioso e assolato in cui le pietre perse si trasformano in castelli, i ricordi si riparano con ago, filo e gentilezza, e le amicizie femminili salvano la vita.
L’amicizia tra donne.
Durante la lettura di Gioia mia, un detto popolare mi è frullato prepotentemente in testa, qualcosa di talmente calzante con il romanzo e il tema che dovrò affrontare che non posso fare a meno di riportarvelo.
“L’amicizia tra donne è cosa rara, ma quando c’è fa paura anche al diavolo”
È talmente vero, perché l’amicizia come l’amore è un sentimento che diventa fortezza, e le fortezze proteggono dalle intemperie della vita. Quella tra donne, poi, è una complicità tutta diversa, quando è esente da invidie e competizioni è un rapporto esclusivo, leale, duraturo nel tempo. Una relazione che si basa sulla fiducia reciproca, sull’affidarsi l’una all’altra e confidarsi segreti, che rimangono ben custoditi e chiusi a chiave nella cassaforte. Si parla spesso di competizione, della difficoltà di essere solidali e fare squadra, di supportarsi a vicenda, ma è qualcosa che le donne di oggi stanno cominciando a superare. Quando abbiamo una giornata dura è un’amica quella che chiamiamo, con lei condividiamo il peso delle nostre angosce. Ed è sempre l’amica colei che ci conosce più a fondo, conosce anche la parte peggiore di noi e l’accetta, smussa i lati spigolosi del nostro carattere e ci sostiene nel momento del bisogno.
“Ché le amiche sono quelle che si rivelano nel momento del bisogno, giuiuzza, quelle che t’aiutano a portare i pesi della vita quando si fanno troppo pesanti, quelle che s’incollano un poco della tua malinconia e la scambiano con un poco della loro contentezza, quelle che ti aiutano a tirare la carretta quando piccioli nisba, e non hai manco un uovo per sfamare i picciriddi.”
Gioia mia è un romanzo corale, tutto al femminile. Femmina è anche la terra in cui è ambientata la storia, la mia bedda Sicilia, territorio aspro e selvaggio, capace di regalarti raggi di sole che scaldano le carni, ma anche spine e dolore. Ed è nel momento in cui la vita di Luisa, la protagonista, cade in un sonno indotto che le altre splendide protagoniste emergono e fanno muro intorno a lei, la proteggono, la tutelano da chi vorrebbe strapparle un sogno, la sua Castidda, luogo amato, terra della memoria e del ricordo, pace dei sensi, dove da piccola Luisa aiutava l’amato nonno, colui che la chiamava Gioia mia e le insegnava la vita, la fortificava, la rendeva indipendente e libera.
Sono le amiche coloro che occupano la Castidda come un fortino, si dividono in gruppi, fanno i turni, preparano deliziose marmellate di mele cotogne, si raccontano, vivono, diventano cinta muraria altissima a difesa del castello minacciato da uno speculatore edilizio che puzza di mafia. Ritroviamo Agata la tabacchera, protagonista de L’amurusanza e di Terramarina, Violante la sposa picciridda del professore suo grande amore, più vecchio di lei di trent’anni, e ancora Lisabetta, Lucietta, tutte donne forti, indipendenti, intraprendenti, legate da quel sentimento che è l’amurusanza, i piccoli gesti che riempiono la vita e la rendono degna di essere vissuta.
“Le amiche non sono quelle vipere che certuni vanno dicendo ma… anime che si frammischiano alla tua e si fanno corda che ti tira fuori da un pozzo.”
Ho letteralmente bevuto questo libro, mi sono dissetata delle sue pagine, le ho sottolineate, rilette, fatte mie. Tea Ranno ci regala ancora una volta una storia potente, una narrazione intrisa di realismo magico e fortemente evocativa. È unica nel trasformare le parole in immagini, a farti sentire gli odori, i profumi del gelsomino, quello che Camilleri chiamava u scrusciu ru mari. E l’alternarsi della lingua italiana al dialetto siculo crea una dolce melodia.